Cevolanate sintattiche

«Antichi ed affezionati alunni» di Giuseppe Cevolani, citato anche dal Traina (v. sotto) – oltre che dal Trombetti nella Prefazione alla sua propria Grammatica latina – ebbero l'«iniziativa» di far pubblicare in un unico volume «scritti [del loro vecchio professore] sparsi in diverse riviste, oggi [1960] non facilmente reperibili» (cf. G. Cevolani, Studi critici di sintassi latina, Rocca San Casciano [Cappelli Editore] 1960, p. III “AI LETTORI”).

Non abbiamo alcuna intenzione di passare in rassegna tutti i contributi critici del prof. Cevolani, poiché sarebbe una sterile perdita di tempo. Ma, siccome il prof. Cevolani, in quegli scritti si scaglia contro due grandi latinisti, quali furono Giovan Battista Gandino ed Enrico Cocchia, è parso nostro dovere informare i giovani studiosi amanti delle lingue classiche – ed in particolare del latino – intorno alla guerriglia letteraria ingaggiata dal prof. Cevolani per ridicolizzare ed annientare gli eminenti latinisti citati.

Siccome oggetto della nota del Cevolani, che «ha uno scopo meramente didattico, non scientifico» (op. cit. p. 349 s.), è la «breve e succinta esposizione» (sono le parole dello stesso Gandino, cf. Esercizi latini con regole ed osservazioni per uso dei ginnasi, Parte Quinta, Torino [Paravia] 1904, p. V) premessa dal Gandino all'«Interrogazione doppia o disgiuntiva», riportiamo qui di seguito per esteso il testo introduttivo agli esercizi (p. 147):

I.
La interrogazione doppia o disgiuntiva, con la quale si chiede quale di due concetti opposti sia affermato o negato, si fa con una o con due particelle.
Il primo inciso si può enunciare nelle domande dirette e indirette con utrum oppure con ne od anche senza particella alcuna; il secondo con an oppure, se la domanda è indiretta e il primo inciso si trova senza particella, con ne.
Le forme con utrum o ne nel primo inciso, an nel secondo sono le più usate; le forme con niuna particella nel primo inciso, an o ne nel secondo si adoperano solo in proposizioni brevi e fortemente opposte tra loro.
Quando la interrogazione ha più di due incisi, tanto il secondo inciso quanto i rimanenti si enunciano con an.

Seguono gli esempi illustrativi. Quindi il Gandino continua:

II.
La congiunzione italiana o quando non esprime una contrarietà assoluta fra due concetti, ma serve solo a dichiarare o a correggere il concetto che precede, si traduce nelle proposizioni interrogative con aut, non con an.
O no si dice ordinariamente nelle domande dirette an non, nelle indirette necne con o senza ripetizione del verbo.»

E, di nuovo, seguono altri esempi illustrativi, il primo dei quali – si faccia attenzione – è: voluptas melioremne efficit aut laudabiliorem virum? Cui, per contrasto ed a scopo manifestamente pedagogico, fa seguire: voluptas melioremne efficit virum an deteriorem?
Ebbene, scrive il Cevolani: «Pongo subito la domanda: come si traduce in latino la disgiuntiva o in una frase quale: Hai visto Antonio o suo fratello?». Indi egli cita il primo capoverso del solo punto II. (v. supra) e chiama in causa anche La sintassi latina del Cocchia (Napoli 1901): «Le stesse, stessissime parole adopera – naturalmente – il Cocchia [...]; salvoché, arrivato alle parole si usa aut in luogo di an, vi aggiunge: e più frequentemente ne che utrum» (cf. p. 398).
Si noti che il Cevolani non dice semplicemente “ la o”, ma precisa «la disgiuntiva o», risolvendo con quell'attributo i suoi artificiosi dubbi, senza avvedersene!
«Proponiamo pertanto – continua, infatti, il professore – ad un alunno la traduzione della frase da me sopra formulata e diamogli il sussidio del Gandino.»
Orbene, come si comporterebbe, ci chiediamo, un normale alunno? A nostro parere, un normale alunno, escluso il punto II., seguirebbe le istruzioni date al punto I.; dovrebbe solo scegliere tra le varie opzioni: 1. utrum Antonium an fratrem (eius) vidisti? 2. Vidistine Antonium an fratrem? 3. Antonium vidisti an fratrem?. Tradotta la frase, un alunno normale passerebbe alla successiva.
Eh, no!
Prosegue, infatti, il professore:

L'alunno penserà: «Finché si tratta della coppia gandiniana meliorem-laudabiliorem,[1] la cosa è lucidissima; è evidente che tra i due termini non v'è contrarietà assoluta, anzi vi è grande affinità; medesimamente tutto corre limpido per l'altra coppia meliorem-deteriorem, dove la contrarietà è a dirittura diametrale. Ma quando si tratta di Antonio e di suo fratello, l'affare si complica terribilmente. Lasciamo stare le parole del Gandino “serve solo a dichiarare o a correggere”, che evidentemente qui non sono applicabili, poiché a nessuno verrà mai in mente di dire che suo fratello “dichiara o corregge” Antonio. E rivolgiamo tutta la nostra attenzione alla distinzione fra contrarietà assoluta e contrarietà non assoluta. Quale è qui la buona? Io direi che Antonio è una persona, e suo fratello tutt'altra persona. Perciò concluderei: contrarietà assoluta. Un bel tomo potrebbe, è vero, obiettare che, trattandosi di due persone della stessa famiglia, la contrarietà non è assoluta ma relativa. Ma a una spiritosaggine, e per di più di gusto discutibile, non si deve attribuir forza di ragionamento. Perciò, qui, an». Così, se non erro, ragionerebbe l'alunno con il sussidio del Gandino...

Orbene, di nuovo ci chiediamo: un normale alunno del ginnasio farebbe il ragionamento esposto dal Cevolani, prima di tradurre la frase? Piuttosto, siamo di fronte ai postumi d'una patologica disperata masturbazione mentale fallita.
Incalza il professore:

... ma (l'alunno) avrebbe torto.

(Il lettore rimarchi che l'alunno, il quale avesse tradotto o con an, «avrebbe torto».) E perché avrebbe torto? Perché

l'interrogazione in questione può avere due sensi al tutto diversi:
1) Può pronunciarsi con tale tono di voce, che significhi: Quale di queste due persone hai tu visto, Antonio o suo fratello?
2) Può pronunciarsi con tale tono di voce, che significhi: Hai tu veduto una di queste due persone, cioè Antonio o suo fratello?
Nel primo senso l'interrogazione è disgiuntiva (e in tal caso sarebbe assurdo rispondervi con un o con un no), ed allora è necessario an, e non aut.
Nel secondo senso l'interrogazione è semplice (e in tal caso vi si può benissimo rispondere con un o con un no), ed allora si adopera aut e non an.

In altre parole, l'alunno, dopo aver elaborato, mentre faceva il suo compito a casa, tutto il ragionamento esposto dal Cevolani, avrebbe dovuto attendere la successiva lezione di latino ed, entrato in classe, avrebbe dovuto chiedere al suo insegnante – che irresponsabilmente aveva adottaro gli Esercizi del Gandino –, di pronunciargli col giusto tono di voce la frase “hai visto Antonio o suo fratello”, altrimenti, non sarebbe stato in grado di tradurla!
È di tutta evidenza che il quadro descritto dal Cevolani ritrae un alunno affetto da una preoccupante patologia ossessiva, o, piuttosto, un professore che proietta sull'alunno il disagio causato dalla sua propria inadeguatezza didattica. Vien da pensare che durante gli anni del ginnasio il povero Cevolani avesse dovuto subire irriferibili vessazioni da parte di uno dei suoi insegnanti.

Obiettiamo:
1. Se l'alunno avesse tradotto quel 'o (suo fratello)' con an, non avrebbe avuto torto, poiché avrebbe udito con la mente il tono di voce ipotizzato (?) al numero 1; e se l'avesse tradotto con aut, del pari non avrebbe avuto torto, poiché avrebbe udito con la mente il tono di voce ipotizzato (?) al numero 2. Dove sta il torto dell'alunno?
2. Gli insegnanti sono consapevoli che le raccolte di esercizi non sono audiolibri: si leggono e basta! Se la frase da tradurre si presta ad ambiguità, la responsabilità è tutta di chi l'ha proposta. L'infelice interrogativa “hai visto Antonio o suo fratello?”, così com'è scritta, senza alcuna nota aggiuntiva, in italiano ha solo valore disgiuntivo.
3. Il professore non s'è accorto che l'esempio con aut è tratto da Cicerone e che il Gandino, al vero scopo didattico di illustrare la differenza fra interrogazione disgiuntiva e interrogazione alternativa, che i più chiamano 'semplice' (?!), ha ripreso la medesima frase mutando la coppia di aggettivi, che non è inventata, bensì ciceroniana anch'essa (cf., ad es., Phil. 13,40)!
Se vogliamo proprio cavillare sul testo del Gandino, potremmo osservare che avrebbe dovuto titolare il paragrafo 3. Interrogazione disgiuntiva (esposta al punto I.) e interrogazione alternativa (esposta al punto II). Nell'interrogazione disgiuntiva (con an) i termini si contrappongono (ad es. meliorem-deteriorem), mentre nell'interrogazione alternativa, chiamata anche dal Cevolani 'semplice' (con aut), i termini sono uno l'alternativa dell'altro (ad es. meliorem-laudabiliorem), ove il secondo esprime il medesimo concetto osservato sotto un aspetto diverso.
Ora, non v'è chi non veda l'assurdità delle argomentazioni del Cevolani, illustrate, si badi bene, a «scopo meramente didattico»!
Ma il professore, determinato ad infliggere il colpo di grazia anche al Cocchia, non si contenta:

Una osservazione finale, relativa ai due autori citati. Dobbiamo noi ritenere che il Gandino giudichi disgiuntiva la proposizione addotta “Voluptas melioremne efficit aut laudabiliorem virum?”. Non si può affermare in modo categorico; tuttavia, e da tutto il contesto della trattazione e specialmente dall'avere posto la regola esaminata sotto il titolo Interrogazione doppia o disgiuntiva, pare che la ritenga disgiuntiva. Or questo, come abbiamo veduto, è contrario al vero.

Qui il Cevolani squaderna tutta la sua malafede, dacché il Gandino inserisce l'esempio ciceroniano (che il Cevolani non ha colto) sotto il punto II., «quando o non esprime una contrarietà assoluta fra due concetti». Ma il professore prosegue trionfante:

Ma quello che è dubbio per il Gandino, è invece certo e indiscutibile per il Cocchia: egli la giudica disgiuntiva. Si dirà: e la prova? Rispondiamo: è quell'aggiunta che ha voluto fare alle parole del Gandino, cioè:... e più frequentemente ne che utrum.
Infatti, queste parole dicono che – sia pure meno frequentemente – si usa nel nostro caso anche utrum. Ebbene, dove è utrum, ivi la interrogazione è disgiuntiva.
Verum haec quidem hactenus.

E qui casca l'asino! Si confrontino Varr. l.Lat. 7,32: nel determinare l'origine delle parole si è talvolta incerti, ut in hoc, utrum primum una canis aut canes sit appellata; e Cic. de or. 1,233: quibuscum ego non pugno, utrum sit melius aut verius. In questi due esempi utrum è in combinazione con aut, cioè l'interrogazione non è disgiuntiva! Senza contare i numerosi casi in cui nella disgiunzione utrum... an, il primo inciso (introdotto da utrum) presenta una o più alternative espresse da aut, come all'inizio dell'Orator: utrum difficilius aut maius esset negare... an efficere... dubitavi.
E in tutti gli articoli riuniti nel volume citato il prof. Cevolani applica il suo puerile logicismo, da cui non si può imparare nulla, ma solo restarne prima allibiti, poi disgustati. Secondo il Traina, «benché viziati da un eccessivo logicismo, non (sono) trascurabili le note e i saggi raccolti da G. Cevolani».[2] Per contro, noi invitiamo lo studente non rimbambito a tenersi lontano da quegli Studi critici, a meno che non voglia farsi della crasse risate.
Quanto al Gandino, affermiamo che di tutte le raccolte di esercizi pubblicate dopo i suoi Esercizi latini, sfruttati e malamente scopiazzati da generazioni di professori di ogni risma, nessuna è riuscita a superare in ampiezza, competenza ed utilità quei cinque volumi dedicati agli studenti del ginnasio, cui aggiungiamo il capolavoro della Sintassi latina illustrata con luoghi di Cicerone, e il volume Lo stile latino. L'accusa, da taluni mossa al Gandino, d'essere troppo ciceroniano, è la più stupida delle accuse, se solo si pensi che, quanto al latino classico – quello, cioè, che va studiato con diligenza prima di risalire al latino cosiddetto arcaico o inoltrarsi nella fase della sua trasformazione, che inizia con Livio – gli scritti di cui disponiamo d'autori diversi da Cicerone (Varrone, Cesare, Sallustio, Cornelio Nepote) rappresentano tutti insieme meno di un quinto delle opere pervenuteci di Cicerone; in altre parole per una sola citazione di ciascuno degli scrittori menzionati, ve ne sono quasi venti del solo Cicerone. Dunque, solo uno stupido può accusare il Gandino di eccessivo ciceronianismo.
E adesso lo diciamo noi:
Verum haec quidem hactenus!


NOTE

[1] La coppia, per incidenza, è in realtà ciceroniana, cf. parad. 1,15!

[2] Cf. Propedeutica al latino universitario, Bologna [Pàtron] 62007, p. 240.

[2021 © Franco Luigi Viero]