Greco e Latino

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Presentazione

PREMESSA.

Il primo incontro con le lingue classiche avviene sempre per motivi scolastici. È improbabile, infatti, che un ragazzo esprima il desiderio di studiare il latino[1] o il greco.[2] Persino lo studio di una lingua straniera moderna, che in Italia inizia con la scuola media, raramente risponde a un intimo desiderio. Succede, però, che un incontro non auspicato si riveli foriero di una impensata passione. Ebbene, queste pagine si rivolgono a tutti coloro, ai quali le lingue classiche piacciono di per sé, al di là del proprio percorso scolastico o professionale.

Lo studio delle lingue in generale e delle lingue classiche in particolare raffina il pensiero e, dunque, il modo di esprimersi; inoltre, facendoci conoscere nuovi e diversi modi di pensare, di riflettere e di valutare, aguzza l'ingegno ed espande la coscienza.

Ogni lingua è, prima di tutto, un sistema strutturato di suoni, di cui la lingua scritta non è che una rappresentazione simbolica, vale a dire diversa e giocoforza incompleta, proprio come incompleta è una qualunque partitura musicale. Per es., i simboli grafici, o lettere, che sottendono il concetto di casa, sono pienamente comprensibili e sonorizzabili solo da chi pensa e parla in italiano, così come quelli che compongono la parola house sono pienamente comprensibili e sonorizzabili solo da chi pensa e parla in inglese. Non è possibile studiare una qualsivoglia lingua senza che la sua rappresentazione grafica sia sonorizzabile, cioè senza che possa essere parlata, dacché il cuore di una lingua non sta nei segni che ne rappresentano i suoni, bensì nei suoni stessi. E questo vale anche per le lingue classiche. Di qui, sulla corretta pronuncia del latino e del greco esporremo in un articolo a parte le nostre considerazioni.

Noi, qui, vogliamo solo proporre i nostri consigli su come e che cosa occorra studiare per imparare le lingue classiche senza sprecare tempo. Provate a chiedere ad uno studente di lettere classiche di tradurvi in latino o in greco la frase seguente: “Buona sera, professore, posso farle una domanda?” Beh, lo metterete in difficoltà. Ora, che cosa direste di uno studente, il quale dopo nove anni di corsi d'inglese, tenuti da titolati professori di ruolo, non fosse in grado nemmeno di dire: “Good evening, teacher, may I ask you a question?”? Probabilmente direste che quello studente è deficiente. Sì, aggiungiamo noi, ma non più degl'insegnanti che, uno dopo l'altro, lo hanno promosso e laureato!

Quanto ai nostri studi, se avessimo avuto buoni consigli e buoni manuali a nostra disposizione, ora le nostre conoscenze sarebbero ben diverse!

Ecco, dunque, il proposito primario di queste pagine: dare buoni consigli a tutti coloro che vogliono essere correttamente indirizzati ed evitare di perdere anni a studiare gli errori somministrati da insegnanti incompetenti e dai loro manuali. Dei programmi ministeriali, dell'opinione di questo o di quel rinomato cattedratico e della cloaca bibliografica che aggiorna costantemente le pubblicazioni accademiche al solo scopo di confondere e distrarre, non ce ne importa un fico secco.

Quando qualcuno vi dice che sta studiando una lingua straniera, non ha bisogno di precisare, ovviamente, che intende riferirsi a questa o quella che si parla. Così, ad uno straniero che cominci a studiare l'italiano, verrà proposto un corso o un manuale che illustri la lingua parlata. Ebbene, a nessun insegnante verrà, o dovrebbe venire, in mente di inserire fra gli esercizi frasi tratte indiscriminatamente da Boccaccio, Fogazzaro, Machiavelli, Leopardi, Vico, Tommaseo, Petrarca, ecc. Perché? Perché si tratta di autori che appartengono a tempi diversi e, dunque, utilizzano un lessico diverso, una struttura sintattica diversa, persino una morfologia ed una grafia diverse, per affrontare i quali occorre una preparazione specialistica, che nemmeno molti professori di lettere possiedono. Chi proponesse ad uno studente straniero esercizi siffatti provocherebbe una tale confusione, un tale disordine, un tale disorientamento nella mente di quello studente da compromettere ogni sua possibilità di capire e farsi capire!

Di contro, questo assurdo modo di procedere è quello usuale per l'insegnamento e del latino e del greco. E non solo in Italia! Tra frasi tratte da Cicerone e Cesare (spesso maldestramente modificate) vengono inserite frasi da Ennio, Eutropio, Tacito, Plinio, Valerio Massimo, Gellio, Seneca, Macrobio, Petronio, Sant'Agostino, ecc.; del pari, tra Senofonte, Platone ed Isocrate, troviamo Dione Crisostomo, Plutarco, Luciano, Erodoto, Polibio, Origene ecc.

Il risultato sarà quello, non già di far apprendere il latino o il greco, ma, piuttosto, di versare un frullato al gusto di latino o di greco nei cervelli degli studenti, i quali non sapranno più distinguere un autore dall'altro, dacché il frullato di cui vengono inzuppati, contiene e miscela ogni gusto o aroma. Da qualche parte abbiamo letto che «non esiste... il latino; esiste il latino di Cicerone; di Cicerone oratore, maestro di retorica, “filosofo”; la lingua di Cesare, Livio, Tacito...».[3] Sarebbe come dire che l'italiano che stiamo parlando nei nostri tempi non esiste, perché esiste solo la lingua di questo o di quell'autore. È innegabile, invece, che non solo al mercato, a scuola e in famiglia, ma anche su periodici e pubblicazioni in genere si parli e si scriva un italiano sempre più simile ad un ammasso di cocci. A volte si ha l'impressione che chi parla o scrive non sappia nemmeno lui che cosa voglia scrivere o dire. Di qui, ogni incomprensione deriva spesso non già da diversità di opinioni, bensì dall'incapacità di comunicarle. I ragazzi faticano persino ad articolare certi suoni. È il risultato di demagogiche quanto devastanti riforme scolastiche.

Non proporremo trattazioni sistematiche, ma ci occuperemo, entro i limiti delle nostre conoscenze ovviamente, ora di un costrutto sintattico, ora di questioni lessicali con l'intento precipuo di segnalare i guasti che una tradizione scolastica disastrosa e fuorviante ha trasformato in regole accolte senza batter ciglio.

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[1] Per latino, ove non specificamente precisato, intendiamo la lingua latina nella fase della sua maggiore coerenza e ricchezza, quella documentata da Cicerone, Cesare, Sallustio e Varrone, cui, ma con riserva, possiamo aggiungere Cornelio Nepote. Escludiamo, invece, Livio, anche se nato nel 59 av. Cr., perché nella sua prosa è già operante quell'inevitabile processo di trasformazione che attraverso lo sfaldamento dei costrutti sintattici ed aberrazioni nell'uso del lessico rimodella le lingue. Dunque, la lingua di Livio non può essere considerata come appartenente alla latinità classica, come ritengono in genere studiosi e filologi.
[2] Per greco, ove non altrimenti specificato, intendiamo il greco scritto di Senofonte, Platone, Isocrate, Lisia, Iseo ed Andocide, che rappresentano l'acme della lingua ellenica; a questi autori possiamo anche aggiungere Erodoto, Ippocrate, Antifonte e Tucidide, la cui prosa testimonia la fase immediatamente precedente. A questi autori andrebbero aggiunte le testimonianze epigrafiche coeve, ma le raccolte delle epigrafi non solo non sono state compilate con un criterio sincronico, bensì geografico, ma i testi vi sono editi utilizzando l'alfabeto classico, del tutto improprio, cosicché il loro utilizzo ai nostri fini risulta pressoché impossibile.
[3] Cf. A. Colombo, Graecorum scripta in Latinum conversa, Milano (I.S.U) 1999, p. 12s.


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