Le Trois Nouvelles Études fanno resuscitare "The Complete Chopin", la nuova edizione critica pubblicata dalla Peters.



EDITION PETERS - EP 73229
THE COMPLETE CHOPIN - A New Critical Edition
TROIS NOUVELLES ÉTUDES (3 Études pour la Méthode des Méthodes)
Urtext - Edited by / Herausgegeben von / Édition de Roy Howat
Leipzig - London - New York / © 2021, pp. IX-12

DOPO anni, “The Complete Chopin”, edita dalla Peters, è resuscitata con questa nuova edizione delle Trois Nouvelles Études composte per la Méthode des Méthodes de Moscheles et Fétis. Roy Howat, che ha curato quest'edizione, s'era già distinto soprattutto come editore di Debussy, ove s'è dimostrato – come tutti i critici editori di musica a nostra conoscenza – non già un filologo, ma, per così dire, un descrittore.

La prima cosa che si osserva sono sia il brutto font utilizzato – note panciute, pesanti –, sia l'utilizzo dello spazio: infatti, per riuscire a contenere ogni Studio in due pagine, ogni pagina raggruppa 6 sistemi; e le misure con molti accidenti sono compresse in uno spazio angusto che affatica la lettura. Non entreremo in tutti i dettagli che sarebbe necessario esaminare, ma ci limiteremo ad alcune osservazioni.

Nella Prefazione l'editore tratteggia brevemente la complessione dei tre Studi: «Gli Studi 2 e 3 – scrive – impostano ordinatamente la loro struttura con gesti d'apertura cui rispondono sottilmente le misure in chiusura (il n. 3 con alcune ingenuità nelle misure 65-66)». Anche qui ricorrono i “gesti”, vocabolo prediletto dai musicologi alla moda; abbiamo anche consultato il Webster, ma francamente che cosa vogliano significare questi “gesti” del c... (il Lettore intuisca) applicati alla musica, proprio ci sfugge: ammettiamo la nostra ignoranza... Meno divertenti sono le presunte “ingenuità”. Nessun serio musicologo dovrebbe permettersi di avanzare una critica senza argomentarla, tanto più in una edizione critica.
La vera novità è costituita dai seguenti tre luoghi.
Étude n. 1, miss. 4÷5 e 20÷21:
Si tratta di due varianti tratte da autografi dedicatorii. In realtà ve sono anche altre che, però, l'editore non riporta nel testo – gesto incongruente –, ma solo nel “Critical Commentary”. Perché? Non è dato sapere.





Étude n. 2, mis. 24:
Qui non si tratta d'una variante, bensì del recupero della lezione originale, ignorata da tutti gli editori; nemmeno Ekier ne fa cenno! Zimmermann (Henle), invero, l'aveva notata, ma il suo commento è il seguente: «In A il avanti si solo dal quarto ottavo» (erroneamente tradotto in inglese: «A pospone il al quarto si ottavo», legittimando così la qualifica d'imbecille a carico del musicologo!). Secondo Howat, che invero non precisa che le presunte bozze (F0) riportano la lezione originale, Moscheles per ipercorrettismo avrebbe modificato il testo durante la correzione delle bozze; ma ciò è molto improbabile. Innanzitutto Moscheles non si sarebbe mai permesso un arbitrio simile. Secondariamente, dalla corrispondenza di Friederike Müller (presentata in altra pagina di questo sito) – lett. del 17/18 gennaio 1841 –, che Howat ignora, apprendiamo che il correttore incaricato non fu Moscheles: «Chopin – scrive la Müller – mi ha fatto suonare il suo 3° Studio e vi erano molti errori di stampa, tutti corretti tempo addietro insieme con me, e che, però, erano stati ristampati: il che ha irritato molto Chopin: C'est Mr Wolff qui aurait dû corrigé cela, mais ce Flegel ne l'a pas fait ; oh, je le connais, il est paresseux comme tout, et Schlesinger ne se donne pas la peine de regarder deux fois. Je vous assure pour ces gens il faut être une brute et leur donner de coups de pieds et des soufflets, alors cela va [È il sig.Wolff che avrebbe dovuto correggerli, ma questo zoticone non l'ha fatto; oh, lo conosco bene, è quanto mai pigro, e Schlesinger non si dà la pena di controllare. Con questa gente, ve l'assicuro, bisogna essere duri e prenderli a pedate e a schiaffi ; dopo la cosa si rimette a posto]». Il correttore incaricato, dunque, era Wolff, non Moscheles; per di più, il fatto che a metà gennaio l'edizione ristampata (abgedruckt) fosse piena d'errori, pone molti problemi, che non possiamo trattare in questa sede. Tuttavia, possiamo aggiungere che se Mikuli ebbe un intenso rapporto con «Marcelina Czartoryska di Cracovia e con Friederike Streicher Müller di Vienna» non solo epistolare ma anche diretto «nel corso di incontri durati per più settimane» passando in rassegna «tutto, nota per nota, col massimo rigore, collazionando le numerose correzioni e annotazioni di sua [scil. di Chopin] mano, che esse conservavano nei loro quaderni come una reliquia», l'edizione di Mikuli di questi tre Studi va tenuta in debita considerazione, poiché dalla citata corrispondenza si evince che Friederike Müller li studiò con Chopin fin dal loro primo apparire; e fu altresì testimone della nascita del n. 3.
Nel commento alle mm. 9÷17 dell'Étude n. 1 leggiamo: «L'edizione Paderewski del 1949 mostra la seguente diteggiatura della m. destra, attribuita all'esemplare di Camille Dubois» e rinvia il lettore alle considerazioni fatte nella pagina precedente (ma non cita l'importante osservazione del Bronarski riguardante il n. d'edizione [2345], inferiore a quello dell'op. 29, pubblicata nel 1837 col n. 2467!). In realtà la citazione è incompleta e fuorviante, perché il Bronarski scrive: «La diteggiatura del basso è ripresa dal MS e quella del soprano è data secondo i numeri scritti a matita, probabilmente da Chopin, in una copia appartenente alla sua allieva, Madame Camille Dubois. In queste misure FE non stampa la diteggiatura». Per quale ragione specificare che «FE non stampa» quella diteggiatura? Non ha senso: se davvero si fosse trattato d'una copia appartenente ad una sua allieva, quale che fosse, come avrebbe potuto Schlesinger inserire quella diteggiatura? A nostro parere, un bibliotecario francese, comunicò al Bronarski quella diteggiatura accompagnata da una sua bislacca ipotesi. Sia come sia, Howat non s'è accorto che quella diteggiatura si trova nella copia depositata da Schlesinger il 16 novembre 1840, conservata nella Bibliothèque Nationale de Paris e codificata “L 6598 (2)”: la grafia è proprio quella di Chopin! Siccome possediamo solo una mediocre fotocopia, riportiamo di detta copia le mm. 16÷17, ove la scrittura di Chopin è più chiara.
Nel commento alle mm. 2, 5, 6 e 45 dello Studio n. 2 Howat dice che F2 e F3 propongono “varianti” «sufficientemente insolite in Chopin tali da suggerire cautela». Evidentemente Howat non ha le idee chiare; non le ha avute nemmeno Ekier che inserisce quelle lezioni nel testo principale come varianti, appunto! Un filologo non può assolutamente fare scelte personali, ma, piaccia o non piaccia, deve attenersi alle fonti secondo il valore ad esse attribuito con la recensio. Imprecisati «incidenti durante l'incisione o la correzione delle bozze» non bastano affatto a giustificare quelle modifiche al testo, che sono da attribuire ad una precisa volontà. Fortunatamente la m. 21 dello Studio n. 1 consente di stabilire che Chopin non ebbe nulla a che vedere con F2: infatti l'imprudente anonimo correttore erade il 3 sopra il la bem., presente in F0 ed F1. Dopo un tale assurdo intervento, quel correttore potrebbe aver fatto qualunque altra stupidaggine, come in realtà ha fatto nello Studio n. 2. Ciò significa che F2 ed F3 sono fonti che vanno escluse dalla recensio.
Nella m. 39 dell'Étude n. 3 Howat inserisce, per analogia con la m. 9, un abbellimento che nell'autografo non è scritto. Le due misure, in effetti, non sono identiche: infatti la penultima croma della m. 9 è un sol, mentre nella m. 39 è un fa, che conferisce alla linea melodica dell'intera misura, che è in crescendo, un'emissione vocale un poco più spianato. In ogni caso, aggiungere le notine è un arbitrio ingiustificabile. Se vi è un autore in cui il principio dell'analogia non è quasi mai applicabile, quello è proprio Chopin.
Nel testo, alla m. 42 del medesimo Studio, l'editore aggiunge una variante che è un errore di lettura dell'incisore, provocato invero dalla correzione fatta durante la copiatura dallo stesso Chopin che aveva involontariamente scritto un la invece di si. Qui si squaderna la differenza tra un filologo e un descrittore.
Infine, parlando di “esecuzione”, Howat sostiene che «il n. 1 richiede inventiva di diteggiatura per assicurare una modellatura melodica espressiva, mentre il n. 2 sollecita un sapiente cantare entro gli accordi della mano destra per far emergere le linee melodiche inglobatevi». Lasciando perdere le diteggiature, ci soffermiamo per un attimo sul n. 2. In questo Studio, unico nel suo genere in tutta la letteratura pianistica, Chopin si eleva al disopra della melodia, che non esiste, perché non vi è alcuna melodia da far emergere. Le melodie, se così si può dire, sono stemperate in un vapore sonoro fatto di armonie che si miscelano fra loro come nuvole sospinte dal vento. La grande difficoltà che questo brano costituisce per l'interprete è proprio quella di evitare qualsiasi allusione melodica e trasformare gli accordi in vapore di suoni. Nessuno aveva mai scritto nulla di simile e, con ogni verosimiglianza, nessuno lo scriverà mai.
Ma basti quanto detto. Se a Roy Howat verrà affidata l'edizione di tutti gli Studi, il povero Chopin farà la fine di Debussy...
Sei paginette di musica per ca. 12 euro.

[Dorno, 22 marzo 2021]


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