Les trois mazurkas en la bémol, en si majeur et en la mineur sont dignes de leurs sœurs aînées. M. Chopin excelle dans ce genre national, qu'il s'est approprié en quelque sorte. Quoique plusieurs l'aient imité, aucun n'est parvenu encore à l'y surpasser. C'est un abandon charmant, une grâce parfaite, une désinvolture mélodique qui n'est qu'à lui. Cette espèce de composition est généralement assez courte ; la pensée, pour produire de l'effet, doit y être claire, incisive, frappante dans ses petites dimensions. M. Chopin a déjà écrit bien des mazurkas ; il y en a peu qui ne soient remarquables ; celles qu'il a chantées au dernier concert ne dérogent pas.

Les trois Études en la bémol, en fa mineur et en ut mineur, extraites de son second livre ont impressionné vivement l'auditoire. On n'en a guère fait de plus fortes, de mieux nouées, de plus attachantes. L'intérêt se soutient d'un bout à l'autre, soit à l'aide du dessin mélodique toujours original, soit au moyen des ressources harmoniques dont l'auteur fait un excellent usage. Le Prélude en ré bémol est encore une heureuse inspiration, plus heureuse peut-être que l'Impromptu en sol, du moins autant qu'il est permis d'en juger après une seule audition rapide. Ce morceau nous a semblé au premier aperçu moins neuf, moins ordonné, moins net enfin que tout ce qui sort de la plume de M. Chopin. Cependant nous n'émettons notre opinion qu'avec doute ; l'effet est quelquefois entravé par des circonstances si étrangères à l'œuvre et à l'artiste, qu'un jugement de cette nature ne se prononce jamais qu'en faisant ses réserves. Ce que nous pouvons seulement dire avec certitude, c'est que l'Impromptu n'a pas offert un intérêt égal à celui des quatre nocturnes que M. Chopin a exécutés ; on y a distingué celui en ré bémol d'une ravissante fraîcheur. Le quatorzième avec /^{[p. 83]} ses triolets opposés par la main gauche aux simples croches de la main droite, avec le trois temps original qui figure au milieu, a fait un plaisir extrême. Mais c'est surtout à la troisième ballade qu'on a rendu les armes. A notre sens, c'est une des compositions les plus achevées de M. Chopin. Sa flexible imagination s'y est répandue avec une magnificence peu commune. Il règne dans l'heureux enchaînement de ces périodes aussi harmonieuses que chantantes une animation chaleureuse, une rare vitalité. C'est de la poésie traduite, mais supérieurement traduite par des sons.

Si nous n'avions à redouter les langueurs d'une analyse toujours fastidieuse, lorsqu'elle se fait trop technique, nous voudrions effeuiller devant vous cette création nuancée des plus charmantes couleurs. Mais de longues pages sont toujours insipides pour qui n'a pas entendu, et encore plus pour qui a joui de l'œuvre même. Finissons-en donc avec M. Chopin, dont la réputation est déjà assez vaste pour ne pas gagner beaucoup à la justice que nous lui rendons. D'ailleurs nous avons encore des éloges à distribuer au talent si pur, si fini de M. Franchomme, ainsi qu'à la voix pénétrante de madame Viardot-Garcia. Comme la Didon de Piccini, cette jeune cantatrice peut dire : Ah ! que je fus bien inspirée ! Et nous ne la démentirons pas ; car elle a chanté avec une âme et une beauté de moyens extraordinaires une composition aussi connue que jolie, la Felice Donzella de Dessauer, puis deux fragments du vieux, mais sublime Haëndel, enfin le Chêne et le Roseau qui a été redemandé. Décidément madame Viardot veut nous rendre sa noble sœur ; elle aussi composait de charmantes choses. Que madame Viardot marche donc dans la même voie où elle est entrée avec succès ; mais que les délassements du compositeur ne lui fassent pas oublier sa véritable vocation.

Se la musica è davvero un'architettura di suoni, come ha detto argutamente una celebre donna, converrete che il Sig. Chopin, il pianista-compositore, è proprio un elegante architetto. Conoscete quali forme originali sa assumere la sua raffinata fantasia. Scorrendo con un interesse sempre più vivo questi piccoli capolavori, così curiosamente e così delicatamente elaborati, ci si ritrova nostro malgrado a sognare dell'Alhambra, del Generalife, di tutti questi deliziosi capricci del genio arabo realizzati nei monumenti di Granada, la meravigliosa. Il pensiero si compiace di fronte allo spettacolo di quest'opulenza di buon gusto. L'ordine, associato alla ricchezza, fa sempre così bene! E sta soprattutto qui il carattere distintivo delle creazioni del Sig. Chopin. La sua feconda immaginazione sa procedere fra gli scarti più arditi; essa non abbandona mai un certo filo conduttore che, con preziosa abilità, collega l'uno all'altro i diversi frammenti della sua opera.

Lo stile del Sig. Chopin è ancora eminentemente aristocratico; si diffonde come un profumo di bon ton; è qualcosa di squisito, tipico del bel mondo, se mi passate l'espressione. Di qui, nulla di banale nel carattere generale, nessun luogo comune nei dettagli. Una critica rigorosa potrebbe forse rilevare il difetto contrario: un'eccessiva ricercatezza del dettaglio più minuto non è talvolta priva di autocompiacimento e di freddezza. La musica è simile ad una bella persona che si vorrebbe incontrare divinamente abbigliata, ma che non ci dispiacerebbe sorprendere di tanto in tanto in veste da camera.

Lungi da noi, tuttavia, il pensiero di muovere un malevolo rimprovero al Sig. Chopin. Notevole è la sua capacità di incantare, quando vuole, vale a dire quando non abusa della sorprendente facilità che ha, di trovare nuove forme d'ornamenti, ma a volte un po' affettate. Del resto, si ignora forse che le imperfezioni nascono sempre dall'esasperazione delle qualità? Ma questi pochi difetti scompaiono nell'ombra, se di un talento si considera il lato luminoso. In Chopin il genio melodico ha un carattere così espressivo, così delicato, così distinto, il suo stile armonico è così riccamente dotato, che la prima impressione, sempre irresistibile, disarciona la critica, che si teneva pronta a garantire la carriera, la visiera abbassata, la penna in resta.

Vedete, dunque, qual è il successo del Sig. Chopin nelle rare apparizioni che fa in pubblico. Pensate a tutto quel che può significare la sollecitudine, con la quale si cerca di andare ad ascoltarlo: artisti ed appassionati fanno ressa intorno a lui. Già! Sono più d'uno i motivi per ammirarlo. Non è solo il compositore tutto quel che si va ad applaudire; vi è anche il virtuoso, il seducente pianista che sa far parlare alle sue dita un linguaggio che incanta, dando libero sfogo alla sua anima che si esalta in un'esecuzione davvero completa; il suo modo di suonare rivela una personalità di cui nessun altro possiede il segreto; il pianoforte in certo modo si trasforma e diventa quasi uno strumento nuovo quando ubbidisce all'eccitazione d'un genio delicato ed appassionato. Liszt e Thalberg suscitano, come è noto, violenti trasporti; anche Chopin ne fa nascere, ma d'una natura meno possente, meno fragorosa, precisamente perché egli fa vibrare nel cuore corde più intime, emozioni più dolci. I primi sollevano un'esaltazione che sfocia imperiosamente in scoppi di voce e di gesti; l'altro penetra più a fondo forse; le sensazioni che eccita, hanno qualcosa di più concentrato, di più velato, di meno espansivo, ma non per questo sono meno delizianti. Chiedetelo a tutti quelli che hanno potuto assistere alla serata di lunedì scorso nei saloni del Sig. Pleyel.

Come esecutore il Sig. Chopin è stato quel che non v'è proprio bisogno di dirvi e che la parola non può comunque rendere: egli ha attratto a sé tutte le simpatie del numeroso e scelto pubblico. Non aggiungeremo nulla alle testimonianze di grande ammirazione che l'intera sala gli ha prodigato, ed alle quali siamo felici per parte nostra d'aver contribuito. Solo qualche parola sul valore delle composizioni che l'artista ha così ben declamato.

Le tre mazurche in la bemolle, in si maggiore ed in la minore sono degne delle loro sorelle, che le precedono. Il Sig. Chopin eccelle in questo genere nazionale, che in qualche modo ha fatto proprio. Benché molti l'abbiano imitato, nessuno è ancora riuscito a superarlo. È un abbandono che ammalia, una grazia perfetta, una disinvoltura melodica che gli è esclusiva. Questo tipo di composizione è generalmente piuttosto corta; il pensiero, per produrre un qualche effetto, dev'essere chiaro, incisivo, deve sorprendere nelle sue piccole dimensioni. Il Sig. Chopin ha già scritto più mazurche: ve ne sono poche che non siano degne di nota. Quelle che ha cantato nell'ultimo concerto non fanno eccezione.

I tre Studi in la bemolle, in fa minore e in do minore, dal suo secondo libro, hanno vivamente impressionato l'uditorio. Non se ne sono scritti di più forti, di meglio intessuti, di più avvincenti. L'interesse è tenuto vivo da un capo all'altro in virtù sia del disegno melodico sempre originale, sia delle risorse armoniche di cui l'autore fa un uso eccellente. Il Preludio in re bemolle è ancora una felice ispirazione, più felice forse dell'Improvviso in sol, almeno per quanto se ne può giudicare dopo averlo ascoltato una sola volta. Questo pezzo ci è parso di primo acchito meno nuovo, meno ordinato, meno definito infine di quel esce dalla penna del Sig. Chopin. Tuttavia, esprimiamo la nostra opinione non senza un qualche dubbio: a volte le nostre sensazioni sono condizionate da circostanze talmente estranee sia all'opera sia all'artista, che un giudizio di questa natura non si pronuncia mai senza riserve. Quel che possiamo dire con certezza è che l'Improvviso non è risultato interessante quanto i quattro Notturni che il Sig. Chopin ha eseguito, di cui quello in re bemolle s'è distinto per l'incantevole freschezza. Il quattordicesimo, con le terzine della mano sinistra contrapposte ai semplici ottavi della mano destra, con la parte centrale in tre tempi, ha prodotto un piacere estremo. Ma è soprattutto alla Ballata che ci si è arresi. A nostro sentire è una tra le composizioni più compiute del Sig. Chopin. La sua flessibile immaginazione vi si è spanta con un magnificenza poco comune. Nella felice concatenazione di questi periodi tanto armoniosi quanto cantanti regna uno spirito caloroso, una rara vitalità. È la poesia tradotta, ma superiormente tradotta, da suoni.

Se non temessimo la pedanteria d'un'analisi sempre noiosa, quando diviene troppo tecnica, ci piacerebbe illustrarvi nel dettaglio questa creazione variegata dai colori più ammalianti. Ma le lunghe descrizioni risultano sempre insipide a chi non ha ascoltato, ed ancor più a chi ha goduto dell'opera stessa. Terminiamo, dunque, col Sig. Chopin, la cui reputazione è già abbastanza vasta per non trarre vantaggio dal giudizio che ne diamo. D'altro canto, abbiamo ancora da elogiare il talento così puro, così compiuto del Sig. Franchomme, ed altresì la voce penetrante di M.me Viardot-Garcia. Questa giovane cantante, al pari della Didone di Piccinni, può dire: Ah, quanto fui ispirata! E noi non la smentiremo, poiché ha cantato con un'anima ed uno sfoggio di mezzi straordinari una composizione tanto nota quanto bella, La Felice Donzella di Dessauer; poi, due brani del vecchio, ma sublime Händel; infine, Le Chêne et le Roseau, che è stata richiesta. M.me Viardot vuole decisamente renderci la nobile sorella, la quale pure componeva cose incantevoli. Che, dunque, M.me Viardot proceda per la stessa via che ha intrapreso con successo, ma che il diversivo del comporre non le faccia dimenticare la sua vera vocazione.