IL CONTESTO STORICO PUÒ RISOLVERE UN PROBLEMA D'ORECCHIO?

La questione della ripetizione dell'esposizione del primo tempo della Sonata op. 35 di Chopin sembrava una questione risolta, ma, dopo la pubblicazione, una decina d'anni fa, di un sorprendente articolo di Anatole Leikin,[1] professore di musica all'Università di Santa Cruz, California, al quale l'editore Peters, nel quadro della nuova edizione critica chopiniana, ha affidato proprio il volume delle Sonate, abbiamo l'impressione che il numero dei sostenitori delle edizioni tradizionali vada aumentando. Una prova indiretta è data dalla recente incisione delle Sonate nella nuova integrale di Chopin pubblicata dalla Decca ed affidata al pianista Pietro De Maria, il quale ha optato per l'omissione tout court dei ritornelli.

Ci vediamo quindi costretti ad esaminare le obiezioni di Anatole Leikin, il quale prende di mira soprattutto Charles Rosen. A dire il vero (come anche Leikin segnala senza far commenti), della difficoltà s'era già accorto Edward T. Cone che in un interessante articolo affermava: «... Ho cercato di difendere la ripetizione dell'esposizione del primo movimento della Sonata in si minore di Chopin,[2] ma ora ammetto d'essermi sbagliato e dichiaro che i segni di ripetizione, così come stanno, non hanno senso. Tuttavia, mi rendo conto che nessuna edizione dà alternative: quella più probabile è d'includere il Grave d'apertura dell'introduzione nella sezione da ripetere».[3] Evidentemente Cone, che dava prova di grande acume, oltre che di un orecchio da musicista, non conosceva le edizioni originali.

Ma torniamo a Rosen, il quale nel 1990 sollevò di nuovo il problema, e seguiamo Leikin nelle sue argomentazioni.

La questione armonica.
Charles Rosen considera i segni di ripetizione dalla mis. 5 una «faulty indication musically impossible»,[4] poiché il passaggio dall'accordo delle miss. 103-104 dà luogo ad una sciatta (perfunctory) cadenza d'inganno. Questa è in sostanza l'argomentazione di Rosen, da cui dipende ogni altra sua considerazione di carattere più o meno estetico.
Si tratta di una obbiezione corretta e condivisibile, poiché quel passaggio disturba l'orecchio. Leikin, però, si chiede: «Why does V7–vi in D-flat major sound more perfunctory than V7–I? Rosen does not explain why a deceptive cadence is more perfunctory than a full cadence».[5] Il sarcasmo di Leikin è decisamente fuori luogo. Infatti, non si tratta di stabilire se la risoluzione di una settima di dominante sul sesto grado (cadenza d'inganno) sia più sciatta o meno di quella sulla tonica, bensì di chiarire che grado sia il si con cui inizia la mis. 5: è una tonica, cioè un primo grado, oppure una sopradominante, cioè un sesto grado?
Se l'accordo di settima di dominante della mis. 104 risolve sul primo grado, questo può solo essere re (mis. 1) e non si; se, invece, risolve sul sesto grado, come vorrebbe Leikin, questo sesto grado non può essere nello stesso tempo il sesto grado di re bemolle maggiore e la tonica di si bemolle minore (mis. 5)! È una sovrapposizione «musicalmente impossibile», proprio come dice Rosen, e Leikin non spiega come ciò sia possibile.
Non vi sono, invece, contestazioni sulla transizione dall'esposizione allo sviluppo, già elogiata dal Niecks, il quale non accenna alla modulazione che porta alla ripetizione, poiché verosimilmente leggeva la Sonata sull'edizione francese o su quella inglese.[6] Stando al Leikin, dunque, nello spazio di una esposizione Chopin avrebbe scritto una maldestra modulazione ed una geniale! Ma forse l'orecchio di Leikin è più sintonizzato sul “contesto storico”, il suo… Comunque sia, per sostenere la sua opinione Leikin avrebbe dovuto, come primo passo, portare ad esempio un altro passaggio simile in Chopin, un passaggio cioè dove una settima di dominante risolva per cadenza d'inganno sul sesto grado che sia contemporaneamente la tonica. Lo trovi! Una volgarità del genere Chopin non l'avrebbe mai scritta, e non l'ha scritta!

Citazioni esterne.
Rosen purtroppo, a sostegno della sua tesi, fa un esempio infelice: la Sonata di Weber op. 24. Leikin sembra divertirsi a smontare la validità dell'esempio. Tuttavia, così com'è insulso citare Weber per proporre un esempio di introduzione compresa nella ripetizione, le molte citazioni per smontarlo colpiscono solo Rosen, e non risolvono il problema dei segni di ripetizione inseriti dal correttore di Breitkopf. Tralasceremo, quindi, tutti gli esempi tratti dalla letteratura musicale dell'epoca, poiché non possono avere alcun valore probante.
Per un musicista dotato di un buon orecchio musicale, la questione dovrebbe finire qui; ma non tutti i musicisti, o sedicenti tali, hanno un buon orecchio. Di qui, il musicista scrupoloso, rilevata la difficoltà armonica che non riesce ad attribuire a Chopin, chiede aiuto ad un filologo competente ed esperto di Chopin: “Quel passaggio è sgradevole: puoi verificare se l'analisi filologica conforta o meno il mio orecchio?”.

La documentazione.
Il manoscritto di Chopin è andato perduto; però abbiamo la copia redatta, sembra, dall'allievo Gutmann per l'editore Breitkopf (Fig. 1).Ed è proprio questa copia ad aver creato il problema, poiché le miss. 4 e 5 sono separate non già da una semplice linea, bensì da una linea doppia (Fig. 1a). Orbene, siccome nella prima edizione francese, che utilizzò il manoscritto di Chopin, quelle due misure sono separate da una semplice linea, sorge spontanea una domanda: fu proprio Gutmann (se fu lui) ad aggiungere una seconda linea o fu un disinvolto e presuntuoso correttore bozze della Breitkopf? Forse un esame approfondito degli inchiostri, con i potenti mezzi oggi a disposizione, potrebbe riservare una sorpresa. Tuttavia, crediamo che non sia necessario.

Ma vediamo l'aspetto delle prime tre edizioni. Le Figg. 2, 3 e 4 riportano i primi due sistemi rispettivamente della prima edizione francese, stampata da Troupenas; della prima edizione inglese, stampata da Wessel; e della prima edizione tedesca, stampata, come detto, da Breitkopf.
Dallo splendido Annotated Catalogue of Chopin's First Editions di Christophe Grabowski e John Rinck, Cambridge (Cambridge University Press) 2010, p. 289 – un'opera, sia detto per inciso, unica nel suo genere, che non elogeremo mai abbastanza – rileviamo che Troupenas alla prima edizione fece seguire a breve termine due ristampe corrette: una copia della prima si trova nella collezione appartenuta a Jane Stirling, mentre un esemplare della seconda si trova fra le cosiddette partitions Dubois.[7]
Iniziamo con l'osservare in primo luogo che la linea che separa le miss. 4 e 5 è come le altre; in secondo luogo, che l'incisore di Troupenas non stava leggendo una copia del manoscritto di Chopin, bensì il manoscritto stesso di Chopin. Le diciture, tenuto conto delle preferenze grafiche dei tre editori, sono correttamente disposte. Il lettore potrà riscontrare da sé le differenze, che non sono oggetto del presente articolo.

I segni di ripetizione.
Ma la tesi di Leikin è molto più subdola: siccome non è un filologo, egli non vuole assolutamente affrontare la questione sotto l'aspetto filologico; quindi, chiama in causa il (suo) “contesto storico” per dimostrare che nelle edizioni francese e inglese i segni di ripetizione mancano perché non erano necessari: «The entire debate about the “correct” and the “incorrect” first editions is simply irrilevant. A survey of early editions reveals that there was no unified practice among the eighteenth- and nineteenth-century publishers concerning the repeat sign after a slow introduction to a sonata-allegro (L'intero dibattitto sulla correttezza o meno delle prime edizioni è semplicemente irrilevante. L'esame delle edizioni dell'epoca rivela che riguardo al segno di ripetizione dopo una introduzione lenta ad un allegro di sonata non vi erano convenzioni comuni tra gli editori del diciottesimo e diciannovesimo secolo).»[8] In altre parole, Leikin rifiuta a priori l'esame dei documenti alla luce del contesto loro proprio, preferendo cercare un contesto estraneo, lontano mille miglia da Chopin e dai suoi editori. Perché? Per un preconcetto: Leikin parte da una convinzione personale, destituita di ogni fondamento, secondo la quale la ripetizione inizia dalla mis. 5. Di qui, egli cita una serie di esempi tratti da opere di Dussek e Hummel, dove i segni iniziali di ripetizione in effetti non sono necessari; anzi – aggiungiamo – sarebbero quasi assurdi. Ed è proprio per questo che mancano!
E qui casca l'asino! Infatti, prima di citare esempi non pertinenti, Leikin, mettendo a confronto manoscritto e prima edizione, avrebbe dovuto mostrare in quali opere la pratica editoriale degli editori di Chopin, e di Troupenas in particolare, per convenzione abbia volutamente omesso i segni di ripetizione dell'autografo: non alludiamo agli errori di copiatura, ovviamente, bensì a vere e proprie forzature, come quella operata da Breitkopf. In secondo luogo, egli avrebbe dovuto tramite «a survey of early editions» dare conto circostanziato della prassi editoriale di Troupenas e di Wessel relativamente ai segni di ripetizione. Solo dopo egli avrebbe potuto sbizzarrirsi nel citare esempi non pertinenti.
Ora, anche se a Leikin non interessa, a noi interessa stabilire se il manoscritto di Chopin aveva o non aveva i segni iniziali di ripetizione nel passo in questione. Chopin indicò sempre con grande scrupolo le sezioni da ripetere; chi sostiene il contrario, ha il dovere di dimostrarlo. Dal primo manoscritto fino all'ultimo, Chopin usò sempre – con lievissime modifiche dovute alla normale evoluzione della grafia – gli stessi segni di ripetizione, distinguendo graficamente quelli d'inizio da quelli indicanti la fine della sezione da ripetere. Si tratta di segni molto chiari, inequivocabili ed inconfondibili, tali che persino il più distratto degli incisori non avrebbe potuto ignorare.
Ecco alcuni esempi: nelle Figg. 5a e 5b, tratte dal primo autografo certo di Chopin, la Polacca in la bemolle dedicata al maestro Żywny, vediamo i segni di inizio e di fine della sezione da ripetere. I medesimi segni, li vediamo nelle Figg. 6a e 6b, tratte da un autografo perduto della Mazurca op. 24 n. 3. Nel Lento con gran espressione la ripetizione dell'introduzione viene indicata dai soli segni di fine-sezione (Fig. 7). In un autografo della Polacca op. 40 n. 1 i chiari punti da entrambi i lati della doppia linea significano che sia la prime otto misure sia le seguenti sono da ripetere (Fig. 8).
Un lettore potrebbe chiedersi se Chopin abbia mai tralasciato di indicare l'inizio della ripetizione. Sì, laddove non era affatto necessario, come ad es. all'inizio della Sonata op. 58, poiché la mis. 91 («1a volta») chiarisce che l'ampia introduzione va ripetuta dall'inizio! E le prime edizioni che cosa hanno stampato? Hanno semplicemente ricopiato il manoscritto, come di consueto.

A proposito di ripetizione delle introduzioni va rilevato che anche nella Sonata op. 4, la cui un'introduzione è di 16 misure, il primo tempo va ripetuto dall'inizio, come pure il primo tempo della Sonata op. 65. Anzi, potrà forse interessare qualche lettore un caso singolare: in uno dei primi manoscritti del Trio op. 8 (anche qui l'“Allegro” va ripetuto dalla prima misura), nello “Scherzo”, alla fine dell'introduzione (mis. 4), sono evidenti i segni di ripetizione (Fig. 9), che nelle prime edizioni mancano: è verosimile ipotizzare un ripensamento, che indusse Chopin ad incorporare l'introduzione nella sezione da ripetere. Ora, se noi applicassimo il “contesto storico” di Leikin, dovremmo trascurare le prime edizioni e sostenere, con esempi tratti da checchessia, che nelle prime edizioni mancano i segni di ripetizione perché non necessari. Ma in tal caso Leikin potrebbe giustamente obiettare che qui non si tratta di un allegro di sonata, ma di uno scherzo di trio!
La collazione degli autografi esistenti con le prime edizioni dimostra ad abundantiam che gli incisori seguivano pedissequamente la scrittura di Chopin, eccezion fatta per alcune vere convenzioni – ed alludiamo soprattutto all'editore Wessel (alla grafia, ad es., delle acciaccature, alla diteggiatura ecc.) –, che tuttavia sono evidenti e ricorrono in modo costante, cioè non costituiscono alcun ostacolo o problema. Va da sé che seguire pedissequamente il manoscritto non significa non fare errori, poiché i classici errori del copista, ben noti in filologia, sono tutti abbondantemente rappresentati in tutte e tre le prime edizioni.
Dunque, possiamo essere certi che l'autografo della Sonata op. 35 non riportava all'inizio della mis. 5 alcun segno di ripetizione.

La doppia linea nella copia presentata a Breitkopf.
Se l'autografo avesse riportato una doppia linea di separazione fra le miss. 4 e 5, l'incisore di Troupenas l'avrebbe ricopiata. Un esempio probante, tra gli altri, ci è offerto dalla Tarantella op. 43, anch'essa stampata da Troupenas. La copia di Fontana riporta tra le miss. 3 e 4 una doppia linea (Fig. 10), ma non v'è alcuna sezione da ripetere. Questo che cosa significa? Significa che la semplice doppia linea, richiamata da Leikin fra le prove a sostegno,[9] in Chopin non ha di fatto alcun rapporto con i segni di ripetizione. Le Figg. 11a (Troupenas), 11b (Schuberth) e 11c (Wessel) mostrano come fu interpretata dagli incisori la doppia linea all'inizio della mis. 4 della Tarantella. In altre parole, supponendo contro l'evidenza che tra le miss. 4 e 5 del primo tempo della Sonata l'autografo avesse recato una doppia linea – e l'incisore di Troupenas ci dice che non v'era nessuna doppia linea –, quest'accorgimento grafico non avrebbe avuto alcun rapporto con i segni di ripetizione, ma avrebbe avuto lo stesso significato che ha nella Tarantella: quello, cioè, di separare una introduzione da eseguire ad libitum, dall'effettivo stacco della Tarantella.

Le diciture.
Siccome nelle edizioni francese e inglese non v'è alcuna doppia linea, Leikin sostiene che a separare la sezione da ripetere intervengono le diciture: le tre diciture, infatti, “grave”, “doppio movimento” e “agitato” fungerebbero da segni di ripetizione! Ma non spiega com'egli sia riuscito a decriptare questa specie di cabala chopiniana, dopo averne scoperto l'esistenza.
Chiamando “Grave” la sua introduzione, Chopin vuole sottolineare il suo legame con la tradizione classica. L'introduzione, che deriva dal Grave e dall'Intrada, nella sua veste ottocentesca non ha più carattere autonomo né serve più ad affermare la tonalità del pezzo che introduce, poiché ha già acquisito una caratteristica distintiva, quella d'essere modulante, di creare cioè uno stato d'attesa per la tonalità del pezzo. Non esiste una introduzione che non sia modulante: se non lo è, non è una introduzione. “Grave”, dunque, essendo il nome che il compositore dà alle prime quattro misure, è posto all'inizio e non separa nulla.
La dicitura “Doppio movimento” si rende necessaria per segnalare che dalla mis. 5 il tempo cambia: da lento ("Grave") a doppio movimento, cioè veloce, concitato (v. mis. 47 della Fantaisie op. 49). Chopin la pone all'inizio dell'esposizione: dove mai avrebbe dovuto metterla?![10] La dicitura “agitato” ragguaglia l'interprete sul carattere da imprimere alla voce cantante, che entra alla mis. 9.
Insomma, le tre diciture sotto l'aspetto grafico non separano proprio niente, poiché non potevano stare altrove.
Secondo Leikin le mis. 5÷8 sarebbero «an in-tempo introduction to the principal theme», poiché « the allegro has actually two introductions». Ma esse sono in si bemolle minore, cioè nella tonalità definitiva; la loro figurazione è fissa e si ripete; non v'è più alcuna attesa per la tonalità. Non possono essere un'introduzione. Che cosa sono allora? Sono in primo luogo l'inizio dell'esposizione, più precisamente sono misure d'avvertimento[11] al solista. È come se dicessero: «Tocca a te! Attacca!». La loro funzione è quella di far sentire al solista la tonalità della melodia che sta per cantare, la quale molto spesso inizia sul terzo grado. Nelle arie e nelle cabalette dell'opera italiana queste misure ricorrono con grande frequenza. A volte basta una sola misura, altre volte sono due. Chopin ce ne dà uno splendido esempio nei Notturni op. 27 e nell'Andante spianato. Le figurazioni di queste misure d'avvertimento sono fisse e si ripetono senza alcuna variazione proprio per la loro funzione. Nella nostra Sonata sono quattro, per dare il tempo alla voce cantante, dato l'improvviso cambio di tempo, di disporsi ad attaccare e prendere il fiato che le serve.

Le ristampe di Troupenas.
Sintetizzando quanto sopra: 1) possiamo affermare, senza tema di smentite, che Chopin usava con scrupolo i segni di ripetizione e che gli incisori dei suoi editori copiavano quel che leggevano, con qualche rara eccezione, come nel caso di Breitkopf; 2) abbiamo osservato che nelle altre Sonate le introduzioni vanno ripetute dall'inizio e in un caso (lo “Scherzo” del Trio) Chopin ebbe un ripensamento ed incorporò le misure introduttive nella ripetizione; 3) la questione armonica, che è la più importante, toglie ogni dubbio: la ripetizione del primo movimento della Sonata op. 35 inizia dalla prima misura del “Grave”.
Ma non è ancora tutto.
Come abbiamo più sopra accennato, Troupenas fece due ristampe a breve termine: la Fig. 12 mostra le prime due righe delle seconda ristampa. Si noterà l'inserimento della legatura sotto le ottave delle prime due misure (m. sin.), che Breitkopf aveva già stampato (sopra, però), perché essa era già segnata nel manoscritto di Gutmann.
Ma vi è anche l'inserimento di una piccola legatura tra il fa della mis. 4 e il si bemolle della mis. 5. Questa legatura che indica come passare dal “Grave” al “Doppio movimento”, suggella la certezza che la ripetizione inizia dalla mis. 1: infatti, detta piccola legatura suggerisce che l'interprete, mentalmente, deve immaginarsi di raggiungere il si bemolle staccato tramite una scala cromatica crescendo e accelerando. Rendere un tale effetto dalla mis. 104 è impossibile.
Si noti, ancora, che nell'edizione Breitkopf è omessa l'indicazione “p”, ben chiara nel manoscritto di Gutmann. Siccome l'inserimento dei segni di ripetizione richiese l'attenzione del correttore, non crediamo ad una omissione per distrazione, bensì per ottusità e presunzione: egli trovò contraddittorie le due indicazioni dinamiche “fz” e "p".

Hofmann, Mikuli, Pugno e Mathias.
Leikin conclude sodisfatto e raggiante il suo articolo citando: una registrazione di Josef Hofmann, l'edizione di Mikuli, quella di Raoul Pugno e l'insegnante di questi, Georges Mathias, allievo di Chopin.
Cominciamo con quanto Arthur Rubinstein dice di Hofmann: «Hofmann… dalla Russia prebellica e dagli Stati Uniti era considerato un gigante, l'erede di Anton Rubinstein. Lo conoscevo da quand'ero giovane: mi aveva deluso, perché la musica – e lo ammetteva – gli era indifferente. Col suo famoso dono naturale per le questioni tecniche, del pianoforte lo interessavano soprattutto i possibili cambiamenti nella fattura, le misure dei tasti, la diversa disposizione delle corde e dei fori acustici del telaio. Il suo meraviglioso dominio della tastiera dev'essere stato innato. Anche quando suonava i grandi, il suo maggior interesse era la dinamica, in un crescendo lentamente preparato che poi esplode nel momento culminante in un boato vulcanico; provava molta sodisfazione a spaventare il pubblico con il violento contrasto tra un pianissimo ed un improvviso schianto fortissimo. Aveva un'altra fastidiosa abitudine, quella di far emergere note che non avevi mai sentito da altri. Eppure, era un pianista di grande statura poiché, a dispetto di tutto quel che ho detto, ad ogni concerto una personalità musicale che non posso liquidare con leggerezza, affiorava (Hofmann… was a man considered by prewar Russia and by the United States to be a giant, the heir of Anton Rubinstein. I had known him since my young years when he disillusioned me with his admitted indifference to music. With his famous gifts for mechanical matters, his main interest in the piano lay in possible changes in its construction, in the height of the keys, in different dispositions of the strings and of the acoustic holes in the frame. His magnificent grasp of the keyboard must have been inborn. Even in his playing of the masters, his chief interest lay in dynamics, in a slowly prepared crescendo ending in a volcanic outburst at the climax, and he felt great satisfaction in frightening the audience by using the violent contrast of a pianissimo followed by a sudden fortissimo smash. He had another irritating habit: He liked to bring out accompanying voices which you never heard in the performances of others. And yet, he was a pianist of great stature because, in spite of all I have said, a musical personality emerged at every concert which I cannot lightly dismiss)».[12]
Ora, è possibile che un pianista, al quale la musica sia indifferente per sua stessa ammissione, abbia voglia d'interessarsi ai segni di ripetizione? Josef Hofmann era un pianista lisztiano, beneficato da madre-natura. Come sempre, il giudizio di Rubinstein è centrato, e tratteggia con precisione i vezzi di Hofmann, evidenti in ogni incisione. Hofmann non interpreta il discorso musicale del compositore, ma la di lui tecnica pianistica: egli non interpreta Chopin, Liszt, Beethoven ecc., ma costringe Chopin, Liszt, Beethoven ecc. ad interpretare Hofmann. Fu comunque un grande pianista, dotato di una splendida tecnica ed un bel tocco, un pianista sorprendente, eppure sempre uguale, agli antipodi del pianismo chopiniano. Se la citazione dell'incisione di Hofmann della Sonata op. 35 prova qualcosa, questo qualcosa può solo essere imbarazzante per Leikin.
E passiamo a Mikuli. L'edizione di Mikuli è un'opera per molti versi pregevole, il cui maggior contributo, la diteggiatura, viene ignorato, perché i pianisti chopinologi non sanno distinguere la diteggiatura di Chopin da quella dell'allievo.[13] La sua edizione va consultata con cautela, poiché le libertà che si prende – pur in buona fede – sono molte. Una nota tra le miss. 46 e 47 del “Presto”[14] conferma che Mikuli non studiò la Sonata col maestro: suonò qualche volta solo la “Marcia Funebre”.[15] I segni di ripetizione nella sua edizione mostrano solo la sua preferenza per l'editore Breitkopf, di cui aveva maggior fiducia. Consultò anche l'edizione francese, ma, in assenza di un manoscritto, non osò pensare ad un arbitrio dell'editore tedesco, ma ad un ripensamento del Compositore!
E che dire dell'edizione di Raoul Pugno? Raramente le testimonianze degli allievi di uno stesso insegnante, chiunque egli sia, concordano: ciascuno ricorda cose diverse – spesso falsate da convinzioni personali –, perché i singoli rapporti furono diversi; esse vanno esaminate con metodo. Figuriamoci quelle degli allievi degli allievi! Anche Klindworth afferma che la sua è la «seule édition authentique». Ma che valore possono avere queste affermazioni? Nessuno!
Quanto a Raoul Pugno,[16] egli fu, sì, allievo di Georges Mathias, ma chi era Mathais? Georges Mathias «fu per anni l'allievo assiduo e docile di Kalkbrenner»;[17] dopodiché il padre decise di farlo studiare con Chopin,[18] del cui insegnamento fruì per vari anni! «L'esecuzione di Mathias si distingue per una pulizia irreprensibile, una sonorità bella e potente. Sotto le sue dita agili e sicure, i passaggi più arditi conservano la loro chiarezza trasparente; mai si sente la fatica, mai s'intravede la difficoltà vinta. L'espressione, contenuta entro le leggi dello stile e del gusto, non è mai esagerata. Nel modo magistrale di suonare di Mathias si riconosce con sicurezza la doppia filiazione dei due grandi artisti da cui proviene; ma, pur seguendo il sentiero da loro tracciato, il nostro eminente collega conserva la sua individualità, e con l'esperienza ha saputo modificare i punti delicati che discepoli molto meno ispirati hanno spesso interpretato al contrario, sia forzando l'espressività, sia concedendo tutto alla pura tecnica».[19] «Mathias – commenta Marmontel – non ha mai avuto passione… per le esibizioni pubbliche. Le ovazioni, le acclamazioni fragorose raramente hanno tentato la sua ambizione d'artista. Il consenso di un pubblico scelto gli è sempre sembrato preferibile all'echeggiare di bravo, ottenuti sacrificando al cattivo gusto di un pubblico banale».[20]
Nel linguaggio di Marmontel, che sta parlando di un collega vivente e quindi calibra l'uso delle parole col bilancino dell'orefice, che cosa significano le sue parole? Innanzitutto, a dispetto degli anni di studio con Kalkbrenner e Chopin, Mathias non assimilò nessuna delle due scuole. In secondo luogo, non gli piaceva suonare il pianoforte. Perché? Perché aveva il pallino della composizione. Siamo convinti che Chopin sapesse perfettamente che allievo fosse: un eterno bambino prodigio; forse con lui poteva parlare polacco, perché la madre di Georges era polacca; col tempo, magari, avrebbe capito qualcosa…; piuttosto che un'avvizzita nobile zitella con le dita artritiche, meglio un ragazzino con le dita agili. Fatto sta che, ad un certo punto, Chopin smise di dargli lezione. Dopo cinque, sette o otto anni? Nemmeno Mathias lo ricordava! Forse non prese più lezioni da Chopin perché ormai aveva appreso i segreti della sua scuola? Assolutamente no! Infatti, dopo la morte del Maestro, Mathias sentì il bisogno di prendere lezioni da Pleyel. Incredibile! Mathias, uno dei pochi acclamati allievi professionisti di Chopin, non ha lasciato scritto nulla di un qualche valore sugli insegnamenti ricevuti. Fatto ancor più incredibile!
Per concludere, Mathias non aveva capito un bel niente della grandezza di Chopin come insegnante, pianista e compositore. In ogni caso, tra Pugno, Mathias e i segni di ripetizione del primo tempo della Sonata op. 35 non vi è alcun legame.
Però manca ancora qualcosa: Hofmann, l'edizione di Mikuli, l'edizione di Pugno allievo di Mathias e…? Sì, manca qualcosa! L'edizione di Tellefsen! L'edizione di Tellefsen precede quella di Mikuli, e Tellefsen fu – lui sì – uno dei più importanti allievi di Chopin, più di Mikuli e più di Mathias. Perché Leikin non lo cita? Forse perché nella sua edizione della Sonata mancano i segni di ripetizione? Eh già, è proprio così!
La Fig. 13 riproduce le prime due righe dell'edizione curata da Tellefsen: non vi è nessun segno di ripetizione. Contrariamente a Mikuli, Tellefsen studiò la Sonata con Chopin e riportò nella sua edizione alcune correzioni (o varianti), una delle quali fu accolta anche da Mikuli (miss. 35÷37 del “Presto”). L'edizione di Tellefsen non è omogenea.[21] Purtroppo, in quegli anni problemi familiari (con una moglie volubile «qual più mal vento» piuttosto che «qual piuma al vento»!) andarono a discapito del suo lavoro. Tuttavia, laddove la sua edizione discorda da tutte le altre, un attento esame s'impone, poiché, come nel caso della Sonata op. 35, si tratta di variae lectiones, se non addirittura del solo testo voluto da Chopin.[22]
Prima di finire, due parole sul significato e il valore delle ripetizioni. Quando si è studenti al conservatorio si evitano le ripetizioni e si tende a considerarle superflue e noiose. Invero, il compositore con la ripetizione offre all'interprete una grande opportunità: in parole povere, quella di dire la sua. Eseguendo la “prima volta”, l'interprete propone quel che, a suo giudizio, il compositore ha voluto esprimere; la “seconda volta”, invece, egli ha la possibilità di commentare secondo la sua propria sensibilità il significato del brano. Come saggiamente consiglia E. Cone, «invece di deplorarle come relitto di una convenzione fuori tempo, dovremmo accoglierle come opportunità per un ri-esame del materiale musicale, proprio come gli esecutori barocchi se ne compiacevano come occasione per nuovi abbellimenti».[23] Rinunciare alle ripetizioni è come un gettare la spugna: “Non ho capito, quindi non commento”. Per un interprete è una vera e propria débâcle! Anche Glenn Gould nelle sue Variazioni Goldberg non esegue tutti i ritornelli; tuttavia, bisogna ammettere che nell'insieme riesce a dare un equilibrio apprezzabile all'opera: meglio saltare qualche ritornello che annoiare chi ascolta con note del tutto inespressive. Nel caso della Sonata op. 35 di Chopin, se fino a qualche tempo fa era consentito rinunciare ai ritornelli a causa del brutto passaggio armonico di cui sopra, ora non lo è più. Chi non comprende il senso delle ripetizioni, farebbe bene a suonare brani che non ne prevedono.
Giunti alla fine, che conclusione possiamo trarre? Che, purtroppo, dovremo attenderci un'altra[24] brutta ed erronea edizione delle Sonate di Chopin.
Se agli editori piace buttar via i soldi, facciano pure! L'aspetto positivo della cosa è che l'ottusità di alcune scelte dà spazio a scelte migliori.


NOTE

[1] Cf. Anatole Leikin, Repeat with Caution: A Dilemma of the First Movement of Chopin's Sonata op. 35, in "The Musical Quarterly" 85 (2001), pp. 568-582.
[2] Cf. Edward T. Cone, Musical Form and Musical Performance, New York (W.W. Norton) 1968, p. 48: «Qui il ritorno crea una sorprendente risoluzione per cadenza d'inganno; tuttavia meno sorprendente e più normale della risoluzione che porta allo sviluppo».
[3] Cf. Edward T. Cone, Editorial Responsibility and Schoenberg's Troublesome “Misprints”, in “Perspectives of New Music” 11/1 (1972) p. 65.
[4] Cf. A. Leikin, art. cit., p. 568.
[5] Ibid., p. 570.
[6] Cf. Fr. Niecks, Frederick Chopin as a Man and Musician, London (Novello and Co., Ltd) 1902, II, p. 226: «The connection of the close of the first part with the repetition of this and the beginning of the second part by means of the chord of the dominant seventh in A flat and that in D flat with the suspended sixth, is noteworthy (La connessione della frase della prima parte con la ripetizione di questa e l'inizio della seconda parte per mezzo dell'accordo di settima di dominante in la bemolle e di quello in re bemolle con la sesta sospesa, è notevole)». Hugo Leichtentritt, invece, ne era rimasto sconcertato (cf. Friedrich Chopin, Berlin [Schlesische Verlagsanstalt] 1920, p. 110), ma poi cambiò idea (cf. Analyse der Chopin'schen Klavierwerke, II, Berlin [Max Hesses Verlag] 1922, p. 211s.).
[7] L'edizione nazionale polacca elenca cinque tirature (da FE1 a FE5), vivente Chopin, mentre l'Annotated Catalogue, oltre alle bozze (35-0-TR), ne elenca tre, cioè la prima edizione e due ristampe (35-1-TR, 35-1a-TR e 35-1b-TR). L'esistenza di FE3 [terza tiratura di FE] «risulta dal fatto che la prima edizione inglese basata su FE [prima edizione francese], contiene alcuni, ma non tutti i cambiamenti introdotti tra FE2 [seconda tiratura di FE] e FE4 [quarta tiratura di FE]» (cf. Chopin, Sonaty: Source Commentary, Kraków [PWM Edition] 1995, p. 7). A parte l'uso particolare delle sigle (non si capisce che cosa esattamente significhi FE), questo genere di affermazioni abbisogna di una dimostrazione filologica sodisfacente, in mancanza della quale preferiamo attenerci all'Annotated Catalogue.
[8] Cf. art. cit., p. 575.
[9] «The copy, probably written by […] Gutmann, and authrized by the composer, has a double barline.» (cf. art. cit., p. 574).
[10] L'indicazione del tempo di Troupenas (4/4 invece di 4/2) pone un altro problema, che l'ed. naz. polacca risolve sbrigativamente, ma che invece merita attenzione.
[11] Leichtentritt le chiama Vorspiel (des Hauptsatzes), cioè prologo (cf. Analyse der Chopin'schen Klavierwerke, II, Berlin [Max Hesses Verlag] 1922, p. 211).
[12] Cf. A. Rubinstein, My many years, London (Jonathan Cape) 1980, p. 88.
[13] Amplieremo in altra pagina quest'argomento.
[14] «Zwischen dem 8ten und 9ten Tacte sind in älteren Ausgaben noch 2 Tacte welche Chopin in den Notenheften der Fürstin Czartoryska und Frau Streicher eigenhändig gestrichen hat (Tra l'ottava e la nona misura [della pagina] nelle prime edizioni vi sono ancora 2 misure che Chopin nelle partiture della principessa Czartoryska e della signora Streicher ha cancellato di sua mano)».
[15] Le recensioni raccolte da Zofia Chechlińska, Chopin's Last Heir: Carl Mikuli as seen through the eyes of Polish Reviewers (cf. J. Waeber, La note bleue. Mélanges offerts au Professeur Jean-Jacques Eigeldinger, Berne [Peter Lang] 2006. pp. 109÷116), sono aria fritta.
[16] Le incisioni chopiniane di Pugno (OPAL CD 9836), a parte le notevoli alterazioni del testo, rientrano nell'ambito di quel pianismo decadente tipico dei pianisti della sua epoca, Koczalski compreso. Philippe Morant è costretto ad ammettere che esse mostrano «un Pugno incontestabilmente colpito da questo virus esasperante che all'epoca spingeva la maggior parte dei solisti a suonare immancabilmente le note del canto dopo quelle del basso. Il peggio è che Pugno stesso nelle sue lezioni scritte metteva in guardia gli allievi contro questa incresciosa abitudine» (cf. L'interpretation de Chopin en France. Textes réunis et présentés par D. Pistone, Paris [Librairie Honoré Champion] 1990, p. 113). Tuttavia, ancorché non attendibile come interprete chopiniano, Pugno possedeva una splendida agilità.
[17] Cf. A. Marmontel, Virtuoses contemporains, Paris (Heugel et Fils) 1882, p. 137.
[18] Del cambio d'insegnante Marmontel dà una spiegazione di superficie che va interpretata.
[19] Ibid., p. 147.
[20] Ibid., p. 141s.
[21] Presumibilmente egli lavorava nel modo seguente: prendeva un'edizione francese (non sempre), la correggeva con l'ausilio del materiale in suo possesso e consegnava il tutto all'editore Richault; sospettiamo che non rileggesse le bozze.
[22] Si noti che manca p, come in Breitkopf. Più interessante, nella mis. 3, la mancanza della legatura tra i due mi bemolle: l'effetto prodotto è quasi migliore. Certo, potrebbe trattarsi di una negligenza dell'incisore sfuggita a Tellefsen (il che sarebbe confermato dalla legatura di valore mal posta tra i due la bequadro delle miss. 3 e 4); però, in quella posizione pare poco probabile. Questo non è ovviamente sufficiente per modificare il testo, ma per proporre una varia lectio sì!
[23] Op. cit., p. 48s.
[24] L'edizione nazionale polacca delle Sonate op. 35 e op. 58 lascia perplessi in molti luoghi; tuttavia, accoglie la lettura di Cone e Rosen senza citarli in ottemperanza ad un deprecabile malvezzo comune a tutte le edizioni musicali che hanno la pretesa di essere critiche, mentre sono solo da criticare. Questi musicologi, pseudo-filologi, si comportano come quegli studenti, i quali non vogliono far sapere che durante l'esame scritto hanno copiato dal compagno vicino.

FONTI DELLE FIGURE. Le Figg. 2, 3, 4, 11a, 11b, 11c, 12 sono ritagli da edizioni più recenti rese identiche alle originali (in ogni caso il lettore potrà consultare il sito www.cfeo.org.uk). La Fig. 13 proviene da una collezione privata. Tutte le altre sono ritagli di facsimili più volte pubblicati (da Binental, Kobilanska, Mirska, Paderewski).

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