IN MARGINE AL XVI CONCORSO INTERNAZIONALE F. CHOPIN DI VARSAVIA.

Le osservazioni che proponiamo all'attenzione del Lettore vogliono puntualizzare quali rapporti vi siano tra Chopin compositore, pianista e didatta con il massimo Concorso a lui dedicato.

Iscrizioni.
Secondo la lista del 20 gennaio 2010 le domande accolte sarebbero state 346; in realtà sono state 342, poiché 4 nomi sono ripetuti due volte (Nikolay Leshchenko, Ho-Yeul Lim, Karolina Marchlewska, Hélène Tysman).[1] Gli studenti ammessi ai Preliminari sono stati 215, cioè 55 in più rispetto ai 160 (“in principle [in linea di massima]”) indicati nel Regolamento del concorso (§ V, punto 2.).[2]

Le condizioni poste per l'iscrizione hanno escluso tre categorie di aspiranti candidati:

– gli aspiranti autodidatti;
– gli aspiranti che non trovino o non vogliano ricorrere alle raccomandazioni scritte di due “renowned pianists [rinomati pianisti]”;
– gli aspiranti che non possiedano l'attrezzatura necessaria per farsi un DVD, o non possano indebitarsi oltre una certa cifra.

La prima esclusione (gli autodidatti) sorge dalla presunzione tanto data per scontata quanto insulsa che nessun pianista possa suonare Chopin, qualora non abbia frequentato scuole o istituti musicali in grado di rilasciare un attestato ufficiale. Sarà appena il caso di ricordare che Arthur Rubinstein, non avendo alcun titolo per sua stessa ammissione,[3] non avrebbe potuto iscriversi e nemmeno avrebbe dovuto essere chiamato quale presidente onorario del Concorso nel 1960!
La seconda esclusione (i non raccomandati da una coppia di rinomati pianisti) sottintende che l'aspirante abbia già intrecciato – tenendo conto del mondo com'è oggi – rapporti di do ut des, ai quali è sottomesso o cui promette obtorto collo di sottomettersi.
La terza esclusione (DVD) rivela l'aspetto vagamente classista che informa ed intreccia le condizioni necessarie all'iscrizione:
“Suoni bene Chopin?” - “Credo di sì”.
“Ma hai i soldi per venire al Concorso?” - “No!”.
“Allora resta a casa tua.”

La prima ingiusta esclusione può essere risolta nel modo seguente: in primo luogo, la quota d'iscrizione dovrebbe cambiare nome e diventare un “contributo per la valutazione della documentazione presentata”, cosicché non sia in nessun caso restituibile. Secondariamente, chi presenti solo i documenti d'identità e il DVD, dovrà versare una cauzione, che sarà restituita solo in caso d'ammissione ai Preliminari.
La seconda odiosa esclusione (le raccomandazioni) va eliminata tout court. Non v'è nulla di più vischioso e vincolante delle raccomandazioni, alimento prediletto della corruzione.
La terza esclusione (DVD) dovrebbe divenire più elastica: ferme restando le condizioni di continuità (“nessun taglio durante l'esecuzione [no cuts during the performance]”), se l'amico o il vicino di casa dimostreranno poca attitudine alla regia, non sarà poi così grave, purché l'audio sia accettabile. Ma, a proposito del DVD, è necessaria un'ulteriore modifica. Andrebbe, cioè, istituita una commissione tecnica, la quale, verificata l'idoneità del DVD, trasmettesse alla giuria preposta la sola traccia audio e, per di più, anonima, contrassegnata da un codice segreto. La visione del candidato, dacché ne consente l'identificazione, apre anzitempo le ostilità tra i giurati, cui sia stato tacitamente affidato il compito di “selezionare”, cioè eliminare in ogni caso, questo o quel candidato. Il giurato deve ascoltare e basta, poiché, non vedendo chi suona, cioè non potendolo identificare e restarne più o meno condizionato, e non conoscendone il nome, non può far altro che affidarsi a quel che sente. La corruzione, ovviamente, potrebbe infrangere anche i vincoli suggeriti, ma avrebbe vita meno facile.

Il § III, punto 2, del Regolamento del concorso specifica che, su proposta del presidente del Comitato per le ammissioni, il presidente della Giuria può esentare un candidato dalle audizioni preliminari per particolari meriti artistici (tradurre “outstanding” con eccezionali parrebbe qui eccessivo).
Ancorché, a quanto pare, non sia stata utilizzata in quest'occasione, si tratta di un'eccezione che va cancellata. A parte il fatto incontestabile che le persone cambiano, cioè possono, anche in tempi brevi, divenire migliori o peggiori, quest'eccezione genera una disparità iniziale assolutamente inutile ai fini del Concorso e dannosa sia al candidato che fruisca dell'eccezione, sia a tutti gli altri. Il candidato altrove distintosi per particolari meriti artistici non potrà certo sentirsi sminuito, se seguirà il percorso dall'inizio.

Giurie.
Vi sono tre giurie: la Prima seleziona chi ammettere ai Preliminari, la Seconda seleziona chi ammettere al Concorso e la Terza seleziona i vincitori. L'unico nome che ricorre nelle tre giurie è quello di Andrzej Jasiński che, dunque, costituisce l'anello di congiunzione. Della Prima e della Seconda giuria fanno parte Kazimierz Gierżod e Marta Sosińska, mentre sono membri della Seconda e della Terza i seguenti giurati: Adam Harasiewich, Kevin Kenner e Piotr Paleczny.

Prima giuria: Kazimierz Gierżod, Andrzej Jasiński, Bronisława Kawalla, Grzegorz Kurzyński, Magdalena Lisak, Marta Sosińska, Elżbieta Tarnawska, Andrzej Tatarski, Waldemar Wojtal, Edward Wolanin.

Seconda giuria: Ludmil Angelov, Rudolf Bernatik, Manana Doidjashvili, Akiko Ebi (Giappone), Kazimierz Gierżod, Bernd Goetzke (Germania), Adam Harasiewich (Polonia), Krzysztof Jabloński (Polonia), Andrzej Jasiński (Polonia), Kevin Kenner (USA), Ivan Klansky (Repubblica Ceca), Alberto Nose (Italia), Piotr Paleczny (Polonia), Boris Petrushansky (Russia), Jerome Rose (USA), Jacques Rouvier (Francia), Marta Sosińska-Janczewska (Polonia), Wojciech Świtała (Polonia), Dina Yoffe (Israele), Zhong (Cina).

Terza giuria: Andrzej Jasiński (presidente), Marta Argerich, Dang Thai Son, Bella Davidovich, Philippe Entremont, Fou Ts'ong, Nelson Freire, Adam Harasiewich, Kevin Kenner, Michie Koyama, Piotr Paleczny, Katarzyna Popowa-Zydroń.

Tranne pochi nomi (come ad es. quello di Edward Wolanin, il quale invero è stato allievo di Ekier), tutti i giurati hanno partecipato alle passate edizioni del Concorso con esiti diversi. Sorge quindi spontanea una domanda: i primi premi (come ad es. Adam Harasiewich) avranno più potere influente dei secondi premi? Ed i secondi premi (come ad es. Dina Yoffe) ne avranno di più dei terzi premi? Ed i terzi premi (come ad es. Piotr Paleczny) riusciranno a vincere l'intraprendenza dei quarti? E così di seguito…

Ammissione ai Preliminari.[4]
Secondo il § IV, lettera g) del Regolamento del concorso gli aspiranti ai Preliminari sono stati giudicati sulla base del DVD, contenente il programma descritto al § IX. Questi DVD sono stati visionati a porte chiuse dalla Prima giuria che, «nel caso di un gran numero di iscritti», stando al Regolamento del comitato per le ammissioni, ha potuto essere divisa in due gruppi operanti autonomamente. Detta suddivisione spetta: al direttore del Concorso, al presidente ed al vicepresidente del Comitato per le ammissioni.
Orbene, è a tutti noto fino alla nausea che non esistono concorsi in qualunque ambito ed a qualunque livello, nei quali la giuria sia composta da membri tutti ugualmente competenti, incorruttibili ed imparziali. I regolamenti possono cercare di prevenire le insidie che questo dato di fatto comporta, ma solo fino ad un certo punto; il detto “fatta la legge, trovato l'inganno” sottolinea una realtà incontestabile. Inoltre, la rinomanza dei membri non costituisce una garanzia d'onestà.
Varrà la pena ricordare quello che Arthur Rubinstein ha lasciato scritto nel secondo volume della sua autobiografia a proposito dell'unico Concorso Chopin, di cui fu presidente onorario nel 1960:

«Ricordo… quando fui invitato quale presidente onorario al Concorso Chopin. La giuria era molto numerosa e includeva nomi quali Nadia Boulanger, Margherite Long e Magda Tagliaferro, per quel che riguarda la Francia, oltre al mio vecchio amico Neuhaus e cinque o sei altri eminenti musicisti russi, unitamente a rappresentanti di molti altri paesi. Vi erano anche molti concorrenti provenienti da tutto il mondo. Fin dall'inizio Maurizio Pollini mostrò d'essere decisamente superiore a tutti gli altri. Un altro giovane pianista, Michel Block, possedeva una forte personalità ed una perfetta preparazione tecnica. Gli altri dieci ammessi alle finali suonarono il loro programma, senza però mostrare un particolare talento.
«Quando si conteggiarono i voti, Pollini vinse con una netta maggioranza, ma con mio grande stupore il secondo premio andò ad una ragazza russa che aveva pestato per tutto il programma; il terzo ad un'iraniana molto carina, i cui sguardi dovevano aver incantato troppi giurati; il quarto ad un'attraente russa senza talento; il quinto e il sesto a polacchi che non sarebbero nemmeno dovuti essere ammessi; l'ottavo ad un giapponese che suonava Chopin in giapponese; il decimo ad un cinese che suonava Chopin in cinese; e, finalmente, l'undicesimo a Michel Block.
«Io sono uno che non tollera ingiustizie plateali. Durante le discussioni della giuria avevo notato un atteggiamento ostile verso Block, il quale, diversamente dagli altri, non aveva sostenitori alle spalle. Quando fu annunciato il risultato dei voti dal presidente in carica, Zbigniew Drzewiecki, fu mio dovere ringraziare la giuria per il lavoro svolto e per avermi eletto loro presidente onorario. Tuttavia, invece di sedermi, mi rivolsi loro alzando il tono della voce: “Come decano tra voi, ho deciso di aggiungere un premio speciale che potreste chiamare Premio Arthur Rubinstein e che comporterebbe una somma corrispondente al secondo premio, da assegnare a Michel Block”. Penso che i lettori si divertiranno ad immaginare le facce che fecero i giurati. Per quanto mi riguarda, della loro indignazione non me ne poteva fregare di meno. Molti di loro, tuttavia, si congratularono con me in modo ipocrita per il mio gesto. In Polonia la pubblica opinione fu tutta dalla mia parte» (cf. Arthur Rubinstein, My Many Years, London [Jonathan Cape Ltd] 1980, p. 559).

È a tutti nota la propensione di Rubinstein alla battuta umoristica, quindi occorre rettificare: il secondo ed il terzo premio andarono effettivamente ad una russa (Irina Zaritskaya) ed ad un'iraniana (Tania Achot-Haroutounian), mentre al cinese, Li Min-Chan, che «suonava Chopin in cinese» andò il quarto premio, non la decima posizione; i due polacchi «che non sarebbero nemmeno dovuti essere ammessi», Jerzy Godziszewski e Josef Stompel, ricevettero una menzione d'onore, non il quinto e sesto premio; all'«attraente russa senza talento», Zinayda Ignatyeva, fu assegnato il quinto premio, non il quarto, ed anche al giapponese «che suonava Chopin in giapponese», Hitoshi Kobayashi, fu data una menzione d'onore. Ovviamente, tutto ciò non intacca per nulla la sostanza delle affermazioni di Rubinstein!
Orbene, sarebbe forse legittimo ritenere che le cose siano migliorate? Sicuramente sarebbe ingenuo! Se dobbiamo credere a Jósef Kański (si veda l'intervista più sotto citata), per il quale a partire dal 1970 i migliori cominciarono ad essere bocciati e, dunque, quel ch'era accaduto a Block nel 1960 era normale routine, possiamo ben immaginarci che cosa sia accaduto dopo… Tutti ricorderanno l'affaire che caratterizzò l'edizione del 1980, allorché Ivo Pogorelich fu escluso dai premi e Martha Argerich, in segno di indignata protesta, lasciò la giuria.
Ancorché il Concorso sia stato splendidamente organizzato, chi ha scelto i membri della Terza giuria del 2010, ha dato prova di uno spiccato senso dello humour, poiché ha messo insieme con Martha Argerich, ridotta, per così dire, a più miti consigli, proprio quel vacuo interprete chopiniano, Dang Thai Son, cui nel 1980 fu dato senza alcun merito il primo premio.
Tornando allo scrutinio dei DVD, è verosimile ritenere che il lavoro sporco inizi proprio qui, ma non lo sapremo mai. La singolare decisione del direttore dell'Istituto Fryderyk Chopin e del direttore del Concorso, comunque la si voglia interpretare (v. nota 2), è stata un'abile mossa, che ha spazzato via ogni possibile contestazione sull'operato del Comitato. Dunque, gli ammessi ai Preliminari sono stati 215, mentre gli ammessi al Concorso sono stati 81 (in realtà 78, v. n. 17); il che ha comportato l'eliminazione di 134 candidati!
Purtroppo – e ce ne scusiamo col Lettore – non ci è stato possibile seguire i Preliminari, quindi, non essendo a noi disponibili le registrazioni, non possiamo formulare un giudizio preciso sull'operato della giuria. Certo è che, passando in rapida rassegna i nomi di quanti non sono stati ammessi al Concorso, il sospetto di qualche tresca sorge. Ad esempio, lascia perplessi l'eliminazione di alcuni nomi, come quello di Christophe Alvarez o del russo Alexander Lubyantsev, giovane dalla forte personalità e sotto l'aspetto tecnico non inferiore a nessuno dei vincitori, soprattutto di fronte al gran numero di candidati dell'Estremo Oriente, vere macchine lisztiane, che hanno dimostrato di non intendere una sola nota di Chopin.
Prima di continuare, però, si rende necessario tratteggiare, anche solo sinteticamente, in che cosa si differenzi un interprete chopiniano da un esecutore che non lo è.

La nuova scuola pianistica vagheggiata da Chopin.
Nella lettera del 5 marzo 1852 a Ludwika Jędrzejewicz, sorella maggiore di Chopin, Jane Wilhelmina Stirling, allieva del Maestro, accenna alla recente monografia scritta da Liszt, a proposito della quale cita un proverbio dell'epoca: «Egli ha sputato sul piatto affinché gli altri ne provino disgusto (Il a craché sur l'assiette pour en dégouter les autres)», ed osserva:

«Quanto alla bella e luminosa filosofia sull'Arte di suonare il pianoforte, che ne ha fatto uno strumento nuovo, non si fa parola, il che mi stupisce! Non vi aveva capito nulla? O ha voluto tacere scientemente? Con la sua penna che è sovente, secondo me, elegante (malgrado si dica che egli non sappia scrivere il francese), avrebbe potuto dire belle cose, in quanto Pianista; non capisco come abbia saltato a piè pari queste scoperte di verità tanto sensazionali che il genio trova, ma, come Chopin diceva, non inventa. Liszt è vanitoso e meschino, perché pensa solo a sé (Quant à la belle et lumineuse philosophie sur l'Art de toucher du piano qui en a fait un instrument nouveau, il n'est est pas question, ce qui m'étonne ! N'y avait-il rien compris ? Ou a-t-il voulu se taire sciemment ? Avec sa plume qui est souvent, selon moi, élégante (malgré que l'on dit qu'il ne sait pas écrire en français) il aurait pu dire de belles choses, et comme Pianiste, je ne comprends pas comment il a sauté à picppar[5] ces découvertes de vérités si frappantes que le génie trouve, mais comme C[hopin] disait, n'invente pas. Il est vaniteux et petit parce qu'il pense à lui)» (cf. Hanna Wroblewska-Straus, Jane Wilhelmina Stirling's Letters to Ludwika Jędrzejewicz, in “Chopin Studies” I [Warsaw 1985] p. 110s.).

Tralasciando per il momento di commentare le volgarità che Liszt era in grado di compiere, volgarità che nemmeno le modalità[6] del turpiloquio tra due puttane di strada contendentisi un angolo di marciapiede saprebbe eguagliare, qui a noi preme sottolineare quanto riferisce Jane Stirling: Chopin aveva “trovato” un nuovo modo di suonare il pianoforte, tanto nuovo da trasformare il pianoforte stesso in un “nuovo strumento”.
Le scuole pianistiche sono fondamentalmente due, antitetiche. Esse sono rappresentate, l'una da Liszt, l'altra da Chopin. Le radici di entrambe si dipartono da Bach: il Bach che amava la tastiera, quale che fosse il suono prodotto (organo, clavicembalo, fortepiano), ha tracciato il sentiero della prima scuola che, attraverso Mozart, porta a Liszt; l'altra anima di Bach, quella che gli faceva preferire il clavicordo, verisimilmente per la possibilità di modificare il suono con la pressione e la vibrazione del polpastrello (Bebung), attraverso Clementi, conosce la perfezione con Chopin.
La prima scuola – che chiameremo “piano-cembalistica” – si concentra sulla tastiera, sulla digitazione, sull'abilità puramente tecnica; per essa il fortepiano, rispetto al clavicembalo, ha il vantaggio di consentire l'inserimento graduale dei diversi registri variando la pressione delle dita. La qualità del suono ha un'importanza secondaria ed è demandata allo strumento. Il pianoforte, insomma, è solo uno strumento che emette un certo suono, le cui variazioni sono viste in termini di volume: quanto più potente è, tante più possibilità offre.
La seconda scuola, invece – che chiameremo “pianistico-vocale” –, scopre, già con Clementi, la qualità peculiare del suono che si modifica all'infinito a seconda di come, non già di quanto, i tasti vengono premuti. La digitazione, l'abilità tecnica è sottomessa alla qualità del suono, e la qualità del suono non è una peculiarità dello strumento, bensì dell'esecutore. Il pianoforte, dunque, non è un semplice strumento a tastiera, ma è una voce, la voce personale dell'esecutore; ed un pianoforte sarà tanto migliore quanto più risulterà sensibile alle esigenze dell'esecutore (a questo proposito si veda quanto A. Marmontel scrive nella sua Histoire du piano, Paris [Heugel & Fils] 1885, pp.332s.).
Per la prima scuola, lisztiana, la méta è eguagliare ed anzi superare l'orchestra. Per la seconda scuola, chopiniana, la méta non è imitare o superare la voce umana, ma cantare come una voce umana. Ed il canto più puro ha il suo riscontro, soprattutto sotto l'aspetto espressivo, nel Belcanto italiano, di cui Chopin s'era innamorato sin da piccolo.
Le basi tecniche della scuola lisztiana sono di natura agonistica, velocità e forza nelle dita, che si raggiungono con un allenamento da palestra; per essa lo studio di Bach non è determinante, come non lo fu per Mozart; servono scale, arpeggi, note ribattute ecc. ecc.; il legato diviene appannaggio del pedale. Quanto alla qualità del suono è delegata, come si è detto, allo strumento.
Le basi tecniche della scuola chopiniana sono tese alla formazione della propria voce: l'indipendenza delle dita diviene primaria, non la forza. Di qui, lo studio di Bach diviene determinante (soprattutto perché Bach si preoccupa dell'indipendenza delle dita, non già della potenza), come pure lo studio di Clementi, la cui scrittura è già decisamente pianistica, mentre quella di Mozart è ancora chiaramente clavicembalistica.[7] Di più, il legato diviene fondamentale e, con esso, lo studio del Belcanto italiano, tanto raccomandato da Chopin.
Insomma, con Chopin il pianoforte da strumento meccanico diviene una voce dell'anima.
Dunque, per suonare Chopin sono indispensabili due requisiti: 1. capire ed amare Bach; 2. conoscere il Belcanto italiano. Senza questi requisiti non si può nemmeno pensare di avvicinarsi a Chopin. Ma, ahinoi, la maggior parte dei pianisti, se da un lato riesce a tollerare Bach, dall'altro ignora completamente che cosa sia il Belcanto italiano. Purtroppo la situazione attuale non favorisce i giovani, poiché il Belcanto italiano è scomparso, non esiste più.
Le due scuole citate erano già chiaramente distinte nell'Ottocento: erano chiamate l'una “scuola tedesca”, l'altra “scuola cantante e dello stile legato” (cf. A. Marmontel, ibid., p. 153). Ora, mentre in Liszt è la tastiera che suggerisce al compositore com'essere meglio sfruttata fino ai limiti dell'eseguibile, Chopin sottomette la tecnica sia al tocco, che diviene la voce dell'esecutore, sia al ritmo, che non è né il metro né il tempo, bensì il respiro, quello della voce umana.[8]

La scelta del pianoforte.
In quest'edizione del Concorso sono stati messi a disposizione dei candidati quattro diversi pianoforti: Steinway, Kawai, Yamaha e Fazioli. Se, di primo acchito, questa novità può avere suscitato il plauso dei più, si tratta, invece, di una opportunità motivata dalla più sconcertante ignoranza dei principi pianistici chopiniani.
La ragione per la quale Chopin preferiva i Pleyel non è affatto quella riferita da Liszt,[9] e nemmeno è da attribuire, come giustamente osserva Marmontel, all'amicizia che Pleyel gli dimostrava, ma è dichiarata da lui stesso in un modo che più chiaro non potrebbe essere: la riferisce Marmontel, il quale, nonostante le virgolette, probabilmente non riporta le parole esatte del Pianista-compositore, ma specifica un dettaglio – non riferito da Blaze de Bury[10] –, che può aver sentito solo da Chopin:

«Ecco come si è espresso il grande virtuoso: “Se non dispongo liberamente dei miei mezzi, se le mie dita sono meno elastiche, meno agili, se non ho la forza di palpare la tastiera come voglio, di guidare e modificare l'azione dei tasti e dei martelletti come desidero, preferisco un Erard: il suono vi si produce già fatto nella sua limpidezza; ma se mi sento bene, disposto a far agire le mie dita senza fatica, senza essere teso, preferisco i pianoforti Pleyel. L'intima trasmissione del mio pensiero, di quel che sento, è più diretta, più personale. Sento le mie dita in comunicazione più immediata con i martelletti che traducono esattamente e fedelmente la sensazione che desidero produrre, l'effetto che voglio ottenere” (Voici le sentiment exprimé par le grand virtuose: “ Si je n'ai pas la libre disposition de mes moyens, si mes doigts sont moins souples, moins agiles, si je n'ai pas la force de pétrir le clavier à ma volonté, de conduire et modifier l'action des touches et des marteaux comme je le comprends, je préfère un piano d'Érard, le son se produit tout fait dans son éclat limpide; mais si je me sens vaillant, disposé à faire agir mes doigts sans fatigue, sans énervement, je préfère les pianos Pleyel. La transmission intime de ma pensée, de mon sentiment, est plus directe, plus personnelle. Je sens mes doigts plus en communication immédiate avec les marteaux qui traduisent exactement et fidèlement, la sensation que je désire produire, l'effet que je veux obtenir ”).» (ibid. p. 256).

Orbene, “sentire le dita in comunicazione più immediata con i martelletti” è un dettaglio che Marmontel può aver udito solo dalle labbra di Chopin e che nell'Histoire ha fatto suo, ripetendolo altrove, senza più citarne la fonte. È singolare che un grande pianista come Josef Lhévinne, il quale non aveva letto – lo si deduce dall'immagine cui ricorre – l'Histoire di Marmontel, dica la stessa cosa: «Immaginate piuttosto di suonare direttamente sulle corde e che le facciate risuonare per mezzo di martelletti ricoperti di soffice feltro, non già per mezzo di barrette metalliche» (J. Lhévinne, Principî di tecnica pianistica, ed. ital. a cura di Fr. L. Viero, Corsico [Edizioni del Cygno] 1999, p. 27).
Fino all'inizio della seconda guerra mondiale il mercato dei pianoforti offriva una scelta molto maggiore: vi erano, oltre agli Steinway, splendidi Bechstein, meravigliosi Pleyel, eccellenti Kaim, ottimi Grotrian-Steinweg. Lhévinne, che dalla Russia s'era trasferito negli Stati Uniti, preferiva i Baldwin. Tutti questi pianoforti, al di là delle caratteristiche loro proprie, erano molto sensibili al diverso tocco dei vari pianisti. Purtroppo, però, il successo della “scuola moderna”, vale a dire “tedesca”, lisztiana, ed il decadimento del gusto, unitamente a complesse ragioni economico-sociali, decretarono la morte di quegli strumenti: Pleyel fallì; la Bechstein fu distrutta dalle bombe e quel che le bombe non distrussero, lo fece il potere economico degli Alleati nell'immediato dopoguerra; i Kaim scomparvero dal mercato, e così via.
Rimasero gli Steinway. Noi non siamo dei patiti dello Steinway, ma, non essendo faziosi, siamo costretti ad ammettere che ancor oggi lo Steinway è il pianoforte più sensibile al tocco. È una caratteristica che, ahinoi, sta perdendo, ma ancora sussiste. Sotto mani diverse gli strumenti migliori cambiano – e, meglio, cambiavano – a dirittura sonorità.
Evitare ad un candidato questa prova, consentirgli cioè di suonare uno strumento con un suono già fatto, è un errore gravissimo e assolutamente antichopiniano.
Dei tre strumenti presentati, oltre allo Steinway (buono, ma non eccezionale), il Kawai s'è rivelato il migliore, seguito dallo Yamaha e, notevolmente distanziato, il Fazioli, il peggiore dei tre; ma tutti e tre di gran lunga inferiori allo Steinway.
La direzione del Concorso dovrebbe tornare sui suoi passi e mettere a disposizione dei candidati il solo Steinway, a meno che non trovi Pleyel e Bechstein degli anni Venti, li faccia rimettere a nuovo da chi lo sa fare e proponga quelli! I nuovi gran coda Pleyel, infatti, suonano come molti altri gran coda (lo desumiamo dalle incisioni in cui sono stati impiegati). Né i Pleyel dell'epoca di Chopin suonano come quand'erano nuovi: la tavola armonica è appiattita, i feltri sono rinsecchiti; nessun restauro conservativo può porvi rimedio. Sarebbe come pretendere che un grande attore ultracentenario avesse la stessa voce che aveva da giovane; e… una nuova dentiera non farebbe altro che peggiorare la situazione! Occorrerebbe che una grande casa decidesse di inserire in alcuni dei suoi coda la meccanica Pleyel ridisegnata per le misure dei pianoforti moderni. Il segreto, tuttavia, sta tutto nell'intonazione e nella qualità dei feltri.

Regolamenti.
Qualora un candidato sia allievo di un giurato, questi in luogo del voto deve apporre una 'S' (§ XIV, secondo capoverso, del Regolamento del comitato per le ammissioni). Tale disposizione dà per ineluttabile la parzialità dei giurati verso i loro allievi.[11]
Detta parzialità viene indirettamente confermata dal § XV: «Se il numero dei punti assegnati da uno dei giurati si discosta dalla media aritmetica del totale dei punti ottenuti da un pianista di oltre 8 punti, allora sarà calcolata una seconda media aritmetica ausiliare del totale dei punti ottenuti da quel pianista, escludendo il voto abnorme. Ogni voto che si discosti dalla sopra specificata media ausiliare ottenuta in detto modo, sarà allora corretto approssimandolo al numero intero più vicino che rientri nella norma detta. La media finale determinante sarà quella ottenuta dai voti corretti nel modo indicato».[12]
Facciamo un esempio. Nella Prima sessione la prima candidata (Soo Jung Ann) ha ottenuto dai 12 giurati i seguenti voti: 45, 72, 79, 50, 30, 50, 76, 75, 74, 73, 80, 76, per un totale di 780 punti, la cui media matematica è 65. Ora, siccome lo scarto dalla media previsto per la Prima sessione è di 10 punti, occorre calcolare una nuova media considerando i soli voti compresi nella forbice 55÷75, cioè (72+75+74+73):4, il cui risultato è 73,5, generatore di una nuova forbice: 64÷83. I voti compresi in questa seconda forbice restano invariati, quelli superiori sono abbassati ad 83 e quelli inferiori elevati a 64. Di qui, la nuova serie risulta essere la seguente: 64+72+79+64+64+64+76+75+74+73+80+76. Il nuovo totale, 861, darà la media definitiva, 71,75, che è quella assegnata. Inoltre, il giurato deve apporre un “sì” o un “no”, per significare se a suo giudizio il candidato meriti o non meriti di passare alla sessione successiva. La candidata dell'esempio ha ottenuto 5 “sì”.
Purtroppo non abbiamo i punteggi dei 342 iscritti e, quindi, non possiamo valutare il comportamento della giuria; né abbiamo le votazioni dei 215 ammessi ai Preliminari. Tuttavia, essendo note le votazioni delle tre sessioni, potremo farcene un'idea non del tutto peregrina.

Programmi.
Secondo quanto stabilito al citato § IV, lettera g), del Regolamento del concorso il DVD deve contenere «il programma della I sessione». Esso è diviso in tre sezioni:

1.: due Studi a scelta (dall'op. 10 i nn. 1, 4, 5, 8, 11, 12, dall'op. 25 il n. 11) oppure altri due Studi a scelta (dall'op. 10 i nn. 2, 7, 10, 11, dall'op. 25 i nn. 4, 5, 6, 10);

2.: un Notturno a scelta (op. 9 n. 3, op. 27, op. 37 n. 2, op. 48, op. 55 n. 2, op. 62) oppure un altro Studio a scelta (op 10 n. 6, op. 25 n. 7, op. 10 n.3);

3.: una Ballata, oppure la Barcarola, oppure la Fantasia, oppure uno Scherzo.

Queste tre sezioni sembrerebbero corrispondere ad un criterio preciso: la prima dovrebbe testare il livello puramente tecnico del candidato; la seconda le sue qualità interpretative; la terza il primo e le seconde insieme.
Sennonché, qui si manifesta subito l'ignoranza della scuola pianistica chopiniana a tutto vantaggio di quella lisztiana. Abbiamo più sopra indicato che una delle caratteristiche precipue della scuola chopiniana è il legato proprio della voce umana: secondo la testimonianza di una vera allieva di Chopin, uno degli apprezzamenti meno lusinghieri del Maestro era: «Non sa legare due note».[13] La capacità di legare non è un fatto interpretativo, bensì una prerogativa tecnica indispensabile per poter ben eseguire le opere di Chopin.
Ancorché non sia possibile suonare alcun'opera chopiniana senza legato, Belcanto, souplesse (= morbidezza, flessibilità, elasticità) e ritmo (= respiro naturale), gli Studi dedicati da Chopin specificamente al legato sono due: il n. 6 dell'op 10 e il n. 7 dell'op. 25. Una falsa tradizione ne ha stravolto la corretta esecuzione ed il valore tecnico. Entrambi sono proposti nella seconda sezione insieme con i Notturni, con i quali non hanno nulla a che spartire. Restiamo allibiti nel vedere ancora riproposta, in una recente pubblicazione dedicata agli Studi, la decadente opinione di Koczalski, secondo cui lo Studio n. 6 dell'op. 10 «non è uno studio in senso tradizionale, ma piuttosto un notturno, poiché il carattere di questa meravigliosa composizione corrisponde in tutto a questo genere (Es ist keine Etüde in hergebrachtem Sinn, eher aber ein Nocturne, denn der Charakter der wundervollen Komposition entspricht ganz dieser Kunstgattung)» (cf. Jan Marisse Huizing, Frédéric Chopin. Die Etüden, Entstehung-Aufführungspraxis-Interpretation, Mainz [Schott] 2009, p. 102).[13bis] In altre parole, siccome Chopin aveva chiamato studio un notturno, era un imbecille, perché non sapeva distinguere tra uno studio e un notturno. Si vuole davvero sapere se lo Studio n. 6 dell'op. 10 è uno studio o un notturno? Allora, lo si suoni come come l'ha scritto Chopin, cioè staccando il tempo indicato dal suo metronomo ed assolutamente – e sottolineiamo assolutamente – senza alcun pedale: se si troverà facile cantare con la mano destra e rendere, con la sinistra, lo scorrere di un corso d'acqua, sarà un notturno; in caso contrario, è uno studio!
Lo Studio n. 7 dell'op. 25 mette alla prova il progresso tecnico dell'allievo, inserendo, laddove le distanze impediscono un buon legato, l'uso del pedale, che dev'essere limitato a quei soli passi ov'è necessario.[14]
Una falsa tradizione ormai consolidata impone l'uso indiscriminato del pedale in entrambi questi Studi e, per il n. 6 dell'op. 10, un tempo lento tanto assurdo da snaturare il significato musicale del brano e vanificarne la finalità tecnica.
Oggi quasi tutti i pianisti affidano il legato al pedale: ciò li disimpegna da una delle maggiori difficoltà che la scuola chopiniana vuol vedere superate.
Quanto al Belcanto, non vi è una sola opera di Chopin, che non richieda di cantare. Ma, si badi bene, Chopin non trasferisce il Belcanto italiano al pianoforte, nel senso del canto spianato, come fa rettoricamente Liszt, bensì lo ricrea al pianoforte, cosicché il Belcanto italiano diviene Belcanto pianistico e, più precisamente, il Belcanto chopiniano. Orbene, Chopin non ha dedicato nessuno studio per il suo nuovo Belcanto, poiché tutta la sua opera ne è impregnata; nei due Studi dov'esso è presente nella sua forma più semplice (n. 3 op. 10, n. 5 op. 25), lo scopo tecnico è un altro.
Alcuni Notturni sono esclusi, a nostro giudizio, per ignoranza della scuola pianistica chopiniana. Sotto l'aspetto interpretativo i Notturni, insieme con le Mazurche, sono le composizioni più difficili da tradurre e, quindi, da interpretare. Si tratta di composizioni, per così dire, filosofiche: se diamo una scorsa ai titoli delle opere della grande tradizione classica, ve ne troveremo molti che potrebbero ben sintetizzare l'argomento di questo o quel Notturno: de amicitia, de senectute, de anima, de caelo, ecc. ecc. Essi vanno riservati alle successive fasi del Concorso; in ogni caso, è errato proporre una scelta: tutti i candidati dovrebbero suonare lo stesso Notturno.
Nella terza sezione, sono accomunate Ballate, Scherzi, Barcarola e Fantasia. La Barcarola e la Fantasia vanno riservate alle fasi successive; qui sono premature. La prima Ballata e il primo Scherzo sono più che sufficienti e le due composizioni andrebbero eseguite entrambe. Qualora non si volesse rinunciare ad offrire una scelta, la Barcarola e la Fantasia dovrebbero essere sostituite dall'Allegro da Concerto e dal Rondò op. 16.
Concludendo, a nostro parere il DVD utile per l'accesso ai Preliminari dovrebbe contenere: 1. (per la tecnica del legato) lo Studio op. 10 n. 6 oppure lo Studio op. 25 n. 7 (da eseguire secondo quanto più sopra indicato); 2. (per la souplesse) a scelta uno dei seguenti Studi: op. 10 n. 1, n. 7, n. 8, n. 11, op. 25 n. 4, n. 9; 3. uno Studio a scelta fra quelli dedicati rispettivamente alle terze, alle seste e alle ottave; 4. due composizioni a scelta tra la prima Ballata, il primo Scherzo, l'Allegro da concerto e il Rondò op. 16; 5. una Mazurca (la stessa per tutti).
Detto gruppo di opere consentirebbe a un sordo di capire se il candidato possiede i requisiti minimi per suonare Chopin. Tuttavia, ogni valutazione sull'interpretazione dovrebbe essere qui trascurata. È sufficiente rilevare il rispetto di quanto scritto da Chopin.[15]

Tecnica e mimica.
Una delle differenze visibili – ben rilevabili da tutti, competenti e non – tra le due scuole, quella lisztiana e quella chopiniana, sta nella contrapposta mimica. Gli adepti della scuola lisztiana amano la platealità grottesca del clown: si sbracciano, agitano il busto in tutte le direzioni, abbassano la testa verso la tastiera e la allontanano bruscamente, scuotono i capelli, ridono, sogghignano, strizzano gli occhi, contraggono ogni muscolo del viso assumendo le espressioni più sconcertanti, muovono le mani in movimenti inutili, qualche volta si autodirigono come se avessero la bacchetta in mano. Del resto è noto che anche Liszt si agitasse parecchio e scuotesse la testa per far cadere un ciuffo di capelli sugli occhi! Di contro, è altrettanto noto che Chopin al pianoforte era di una compostezza aulica: i gomiti morbidamente penzolanti dalle spalle, il busto lievemente proteso in avanti, le mani quasi immobili ma incredibilmente elastiche, nessun movimento convulso, nessuna contorsione del viso; solo lo sguardo tradiva uno stato quasi medianico.
Orbene, la gestualità da clown toglie concentrazione e trasforma l'esecuzione in un numero da circo equestre. Lo hanno ben dimostrato sia il bulgaro Evgeni Bozhanov, sia la francese Hélène Tysman: il primo talvolta, inquadrato frontalmente dalla telecamera, pareva, dall'espressione di terrore assunta, che una colonia di topi lo assalisse all'inguine. Le mani della seconda somigliavano a ragni che scorrendo per la tastiera rimanevano impigliati nella rete da essi stessi filata. Ebbene, l'uno e l'altra hanno dimostrato gli effetti di detta gestualità assurda (ed invero orribile a vedersi): Bozhanov – tralasciando altri episodi – si perde sul mordente della mis. 448 del terzo tempo del Concerto op. 11; fortunatamente, la semplicità del passo gli ha consentito di riprendersi; la Tysman già nello Studio op. 10 n. 2, peraltro molto ben eseguito e con idee interpretative accattivanti, s'era bloccata – a parte altre piccolezze – alla mis. 27; quindi, nel terzo tempo del secondo Concerto – e sorvoliamo su altri dettagli –, giunta alla cadenza delle miss. 317ss., l'attacca un'ottava sotto, sì ferma e, nel tentativo di riprenderla, va nel pallone.
Preoccuparsi di come un allievo stia al pianoforte, è uno dei compiti dell'insegnante! Ogni tic o movimento ripetitivo, sia esso nel volto o nel corpo, è sempre la spia di un problema tecnico, che prima o poi emergerà. Quanto più lo si trascura, tanto più sarà difficile eliminarne la causa.

Formulazione dei giudizi.
Nell'intervista pubblicata su “Chopin Express” del 12 ottobre 2010, si chiede a Kevin Kenner[16] se «due pianisti professionisti (two professional pianists) possano avere un'opinione totalmente diversa su una stessa esecuzione». La genericità dell'espressione «two professional pianists» consente a Kenner di eludere la risposta in modo intelligente: infatti risponde di sì! L'intervistatore avrebbe dovuto precisare che con quell'espressione intendeva “due grandi pianisti che avessero dimostrato d'essere altresì grandi interpreti”. Il guaio è che tra i giurati vi sono sì grandi pianisti, sotto l'aspetto meramente tecnico, come Marta Argerich, ma nessun grande interprete; anzi, vi sono interpreti molto mediocri e, quel che più conta, nessun vero interprete chopiniano. Tra i giurati, quelli pianisticamente peggiori non sono mai migliorati e quelli migliori col passare del tempo sono andati sempre peggiorando, soprattutto come interpreti. Nonostante ciò, non è necessario essere un grande pianista o un grande interprete per capire chi lo sia o non lo sia: bastano intelligenza, sensibilità ed onestà; qualità che, ahinoi, non sono vincolate alla fama.
Analizzando le votazioni rese note, sarebbe possibile ricostruire le fasi delle varie battaglie fino all'ultima, quella decisiva, ma, non provando alcun interesse per una tale noiosa investigazione, ci limiteremo ad alcune note.
La prima singolarità è data dalle insufficienze (voti sotto i 60 punti) assegnate nella Prima sessione.[17] La Argerich ne ha date 17 (dieci 50, cinque 45 e due 40), la Davidovich 4 (un 58, un 55 e due 50), Entremont 38 (tutti 50), Fou Ts'ong 35 (quattro 50, cinque 40, un 35, quattordici 30 e undici 20), Freire 11 (due 55 e nove 50), Harasiewich 1 (55), Paleczny 8 (un 59, due 58, due 55, un 54, un 53 e un 52). Escludendo la singola insufficienza data da Harasiewich, potremmo dividere la giuria in due fazioni, quella dei “buoni” e quella dei “cattivi”; fra questi ultimi, Entremont e Fou Ts'ong, si sono comportati più da giustizieri che da giudici!
Ma vediamo qualche confronto stupefacente. Sempre nella Prima sessione Geniušas ha avuto 95 dalla Koyama e 35 da Fou Ts'ong, per il quale il candidato non meritava di passare alla sessione successiva. Gilbert ha avuto 80 da Jasiński e 20 da Fou Ts'ong. La Tysman ha avuto 94 da Paleczny e 30 da Fou Ts'ong, il quale la riteneva, insieme con la Davidovich, Freire e Harasiewich, non meritevole di passare alla sessione successiva.
L'evoluzione di alcune votazioni nella Seconda sessione sono ancor più sconcertanti. Fou Ts'ong cambia idea su Geniušas, che con un 97 diviene meritevole di passare alla Terza sessione. Del pari la Tysman, che, pur collezionando cinque “no” (da Thai Son, Davidovich, Harasiewich, Jasiński, Popowa-Zydroń), riceve da Fou Ts'ong un “sì” con un 76! Orbene, se è normale che ad un certo punto un giurato giudichi un candidato non più degno di proseguire, è molto sospetto il comportamento contrario. Per la Tysman, ad es., la Davidovich è stata coerente: in tutte e tre le sessioni le ha assegnato un “no”; Fou Ts'ong, invece, ha espresso un “sì” con un 76 nella Seconda sessione dopo un “no” con un 30 nella Prima. Del pari Entremont, che nella Seconda sessione esprime un “no” con un 66 per Geniušas, mentre nella Terza sessione lo gratifica con un “sì” e un 84. Anche Jasiński cambia opinione su Bozhanov,[18] ma il suo “no” nella Prima sessione è accompagnato ad un 73, non a un 50 o a un 30; per noi resta inaccettabile, ma è sicuramente più giustificabile.
È di tutta evidenza che queste votazioni non hanno nulla a che fare con la valutazione del candidato, bensì rispondono ad altre istanze. Un giurato che, prima stronca un candidato, poi lo esalta, è un giudice incompetente o fazioso, comunque inaffidabile.[19]

Finali e premi.
Quale che sia stato l'operato della giuria, basti quel che si è detto e passiamo alle Finali, cui sono stati ammessi i seguenti candidati: Yulianna Avdeeva, Evgeni Bozhanov, François Dumont, Lukas Geniušas, Nikolay Khozyainov, Miroslav Kultyshev, Daniil Trifonov, Hélène Tysman, Paweł Wakarecy e Ingolf Wunder.
Che cosa ci facciano in finale Dumont, Trifonov, Wakarecy e, per motivi differenti, la Tysman è difficile da spiegare, anche perché tutto quel che sappiamo, lo deduciamo dalla documentazione acquisibile, e quel che vediamo nella sfera di cristallo, ce lo teniamo per noi…
Una parola sul programma. Limitare la prova solo ad uno dei due Concerti è offensivo per Chopin: le splendide Variazioni op 2, la Fantasia op. 13, la Krakowiak, dove le lasciamo, nel dimenticatoio? Ogni candidato dovrebbe presentare oltre ad un Concerto anche le Variazioni o la Fantasia o la Krakowiak. Siamo quindi perfettamente d'accordo con Jósef Kański, il quale riteneva opportuno ampliare il programma della sessione finale così «da includere un altro pezzo. Per una ragione: suscitare un maggior interesse; ma anche per promuovere le composizioni di Chopin con orchestra, che sono molto meno note.» (cf. “Chopin Express” del 14 ottobre 2010).
Partiamo dalle “migliori interpretazioni”. Geniušas sarebbe stato il miglior interprete di una Polacca, Wunder di un Concerto, Trifonov delle Mazurche, la Avdeeva di una Sonata e ancora Wunder della Polacca-Fantasia. Di nuovo, qui si rivela, e molto chiaramente, l'ignoranza della giuria. In realtà, nell'op. 44 Geniušas si è un po' trattenuto, non ha voluto rischiare; ha suonato bene, sì, come pure Miroslav Kultyshev, ma siamo ben lontani da Chopin.
Il miglior Concerto, invece, lo ha eseguito senza alcun dubbio Geniušas. La prestazione di Wunder è stata costellata di dettagli interpretativi antichopiniani (acciaccature e trilli); ha sporcato il primo do della mis. 530; alla mis. 603, non riuscendo ad eseguire la terzina sotto la cinquina, ha pasticciato; alla mis. 110 del secondo tempo Chopin non ha scritto nessun rallentando, ecc. ecc. In ogni caso, Wunder ha eseguito un buon concerto, dispiegando una bella agilità nel finale del terzo tempo, ma non così accattivante come la resa di Geniušas. Tuttavia, Wunder, quando suona senza preoccuparsi di ottenere un qualche effetto, come nei piano e nei pianissimo, trae dallo strumento un buon suono; inoltre, i suoi accordi forte o fortissimo hanno una sonorità piena; ciò significa che il suo braccio pesa correttamente sulla tastiera; ovviamente si tratta di una dote naturale, poiché, se avesse la coscienza del tocco, i suoi piano e pianissimo non sarebbero, come purtroppo sono, vuoti. Inoltre, come tutti i concorrenti, egli lega quasi esclusivamente col pedale. Geniušas, il solo ad avere la stoffa del virtuoso nel solco della grande tradizione della scuola russa, nel suo concerto ha profuso brillantezza e slancio giovanile con un tocco mediamente migliore. Purtroppo, entrambi ignorano totalmente il Belcanto.
Quanto alle Mazurche e alla Polacca-Fantasia, nessun candidato tra i 78 ammessi ha capito e ben eseguito una sola Mazurca[20] o la Polacca-Fantasia, men che meno Wunder. L'impostazione comune a tutti è lisztiana, non chopiniana, e questo risulta quanto mai disturbante proprio nelle Mazurche e nella Polacca-Fantasia, ove il fraseggio di Wunder si è rivelato banale, antichopiniano: alla mis. 149 applica una dinamica contraria a quella scritta da Chopin; alla mis. 215 anticipa il forte dimostrando di non aver compreso il passo; alla mis. 220 non rispetta un rallentando espressamente scritto da Chopin, ecc. ecc. Wunder, inoltre, che si è presentato come allievo di Harasiewich, ha dimostrato di non essere significativamente migliorato dalla precedente partecipazione al Concorso: fa ancora troppe smorfie, l'effetto delle quali si è sentito nella Terza sessione, dove ha fatto pasticci sia nel Rondò sia nel primo tempo della Sonata. Wunder ha raggiunto il massimo livello da lui raggiungibile: è senza dubbio un buon pianista, ma non ha la stoffa del virtuoso come Geniušas, ed è un anonimo interprete di Chopin. Il legato chopiniano, il Belcanto chopiniano, la morbidezza chopiniana gli sono del tutto ignoti.
Trifonov ora gigioneggia ora s'impenna. Per di più ha scelto il Fazioli, dimostrando di ignorare che cosa sia il tocco. La sua interpretazione delle Mazurche è astrusa; non ne ha capito il senso.
Concordiamo solo col riconoscimento per la migliore Sonata alla Avdeeva. Quantunque la Sonata op. 35 sia al di sopra delle sue possibilità tecniche, com'è risultato nello "Scherzo", è riuscita entro i suoi limiti ad offrire una interpretazione credibile e apprezzabile, dimostrando notevoli qualità d'interprete, che l'hanno distinta da tutti gli altri fin dall'inizio.
E veniamo ai premi. Con questi dieci finalisti mancava solo che la Avdeeva non ottenesse il primo premio. Infatti, non assegnare un premio, com'è capitato in passato, è davvero ridicolo; è come se in una competizione sportiva, al vincitore che non avesse superato il record mondiale venisse d'ufficio assegnato il secondo premio! E neppure siamo d'accordo con gli ex aequo. Non esistono due candidati identici e meritevoli in pari grado: gli ex aequo sono sempre un odioso compromesso tra i giurati, in cui ottiene di più chi cede di meno. Wunder e Geniušas sono due pianisti diversissimi, esponenti di scuole pianistiche molto diverse. Probabilmente, la Avdeeva ha stravolto i piani, perché era Wunder quello destinato a vincere: lo si rileva chiaramente fin dalle prime votazioni.
La netta superiorità della Avdeeva consiste nel corretto rapporto tra possibilità tecniche e concezione interpretativa. La Avdeeva non esegue un solo passo col rischio di soccombere tecnicamente e non esegue un solo passo senza averne una precisa idea interpretativa, la quale deve poter essere liberamente espressa con i mezzi che ha a disposizione. È per questo che la sua interpretazione meno convincente è stata proprio il Concerto: vincolata all'orchestra si dev'essere sentita un po' imbrigliata e non si è espressa al meglio; in tutto il Concerto il fraseggio non si è dispiegato come avrebbe voluto e nel terzo tempo il rapporto tecnica-interpretazione s'è un poco incrinato. Quanto al rapporto Avdeeva-Chopin, non possiamo che ripetere quel che abbiamo già più volte ripetuto: ignoranza del Belcanto, ritmo/respiro non chopiniano, pianissimi afoni, in più scelta del pianoforte sbagliato (Yamaha).
Noi avremmo assegnato, sì, il primo premio alla Avdeeva, ma il secondo a Geniušas, il terzo a Kultyshev (non volendo tener conto dei suoi Notturni simiglianti all'incedere di un'oca che, essendo stata ingrassata all'eccesso, non riesce a prendere il volo), il quarto alla Osaki (non ammessa alle Finali), il quinto a Wunder, il sesto… l'avremmo tirato a sorte!
Last but not least, avremmo istituito un premio speciale (che dovrebbe essere introdotto in ogni edizione futura del Concorso) da assegnare al giovane, cioè non ancora ventenne, più promettente. Nikolay Khozyainov, che pure ha scelto uno strumento sbagliato, avrebbe meritato un premio, ma, avendo dimostrato grandi doti e grandi possibilità, sarebbe stato un peccato dargli un quarto, un quinto o un sesto premio, quando, maturando, potrebbe meritarne uno dei primi tre. Dunque un premio-invito a ripresentarsi consistente nell'ammissione, in questo caso e solo in questo caso, diretta e gratuita (cioè spesato per intero, soggiorno compreso per due persone) al Concorso.
Non avremmo assegnato alcun premio per la migliore interpretazione di nessuna opera, a significare che, indetto un concorso a premi, questi erano stati giocoforza assegnati, ma che, quanto a Chopin, siamo ancora davvero lontani.
Vogliamo infine citare un simpatico, ma non superficiale, trafiletto pubblicato sul n. 78 della “Allgemeine Wiener Musik-Zeitung” del 1841, p. 327:

«Liszt, Thalberg e Chopin costituiscono il triumvirato del pianoforte. Se Liszt usa questo strumento senza alcun vincolo, come gli pare e piace, se le dita di Thalberg scorrono sopra i tasti con grazia e levità come il ventolare dello zefiro, di Chopin si può dire che suoni il pianoforte nel senso più vero della parola. Liszt sbalordisce con la sua tecnica straordinaria e la sua potenza; in Thalberg ammiriamo l'eleganza formale; quando si ascolta Chopin, si è indotti a ritenere che lo spirito e la poesia del suo leggiadro modo di suonare nonché il sentimento profondo che vi si rispecchia, siano di natura divina; di qui, può capitare che lo stile di Chopin non susciti alcun clamore fra gli ascoltatori, poiché agisce nell'intimo più di quanto non appaghi i sensi esteriori. Il suo modo di suonare è molto simile alle donne parigine; come loro non ha quella bellezza che ti conquista al primo sguardo, ma se lo si posa un po' più a lungo, si resta irresistibilmente avvinti da un qualcosa che non si riesce a spiegare. Una bellezza regolare può essere compresa e sezionata, cosicché gli elementi di cui essa è costituita, si possono individuare; ma quello spirito, quella fantasia, che sempre si ritrovano nell'esecuzione di Chopin, non si lasciano afferrare né tanto meno analizzare.»

Il Lettore ascolti, dunque, tutti i finalisti (e, perché no, anche i giurati…) e verifichi se uno di loro, anche solo lontanamente, gli procuri una siffatta sensazione![21]

Conclusione.
Se questo Concorso non cambierà, dovrebbe almeno cambiare nome, perché non è un Concorso Chopin in senso proprio, bensì un Concorso per l'interpretazione lisztiana di Chopin! E lasciamo perdere battaglie, ricatti e compromessi che caratterizzano il lavoro della maggior parte dei giurati in tutte le giurie di tutti i concorsi.


NOTE

[1] Tutti i dati qui citati sono stati desunti da quanto pubblicato sul sito internet del Narodowy Instytut Fryderyka Chopina (http://konkurs.chopin.pl). Occorre aggiungere che il webmaster ha molto ben articolato il sito con chiarezza e gusto. È stato anche possibile seguire in diretta tutte le prove; non solo, ma l'internauta ha avuto a disposizione anche il Chopin Express con la cronaca del Concorso, interviste e commenti. Se, poi, fossero state messe in vendita tutte le registrazioni di tutte le prove, Preliminari compresi, sarebbe stata raggiunta la perfezione. L'unica nota stonata si è avuta con il “forum”, aperto, chiuso e trasferito su Facebook a causa di una certa forma di bigottismo ingenuo: aprire un “forum”, infatti, è un po' come sollevare il tombino di una cloaca; chiunque ne apra uno, non deve dimenticare che fra tutta quella merda che vedrà scorrere, e che forse occulterà qualche rara gemma perduta, c'è anche la sua.
[2] L'enorme divario viene così giustificato: «Secondo la decisione presa l'11 marzo 2010 dal direttore dell'Istituto Fryderyk Chopin, Andrzej Sułek, e dal direttore del Concorso, Albert Grudziński, sono stati ammessi ai Preliminari del XVI Concorso pianistico internazionale Chopin tutti i candidati che hanno ottenuto dal Comitato per le ammissioni un punteggio superiore al 50% della media dei punti ricevuti». Perché? Le risposte possibili sono due: la prima mette in dubbio l'operato e quindi i giudizi del Comitato; la seconda chiama in causa motivazioni estranee a Chopin.
[3] A proposito dell'elezione a membro dell'Académie des Beaux Arts, Rubinstein commenta: «Un accademico, io!, che non avevo mai preso un titolo di studio in un'accademia, in una università, in un conservatorio e nemmeno, lasciatemelo dire, in una scuola…» (cf. A. Rubinstein, My Many Years, London [Jonathan Cape Ltd] 1980, p. 586).
[4] Nell'elenco degli ammessi ai Preliminari compaiono due nomi che non erano presenti né nell'elenco del 5 gennaio, né in quello del 20 gennaio: si tratta dello statunitense Christopher Falzone e del russo Vladimir Ratner, i quali, peraltro, non sono stati ammessi al Concorso. Altra singolarità: i nomi dei seguenti candidati, pur ammessi ai Preliminari e presenti nell'elenco del 5 gennaio, non comparivano nell'elenco del 20 gennaio: Valeria Dovgaya, Giuseppe Gullotta, Ben Kim, Di Yi Tang e Minggu Yao. Nessuno di loro è stato ammesso al Concorso.
[5] Questo è il testo così come lo pubblica l'editore, che evidentemente non ha capito: qui la Stirling ricorre ad un'espressione italiana, à piè pari, cioè a piedi giunti, che, oltre a significare, 'completamente' 'del tutto', richiama una nota di sprezzante trascuratezza. Édouard Ganche, invece, aveva individuato l'origine dell'espressione, poiché scrive “a pie pare”, ancorché la grafia sia scorretta (cf. Dans le souvenir de Fr. Chopin, Paris [Mercure de France] 1925, p. 138).
[6] Proprio perché la volgarità è l'esatto contrario dell'arte, come l'arte non è mai nei contenuti, bensì nelle forme.
[7] Per quanto Chopin ammirasse Mozart come eccelso compositore, non risulta che abbia mai fatto studiare agli allievi qualcosa di suo. Il che non è affatto strano, ma perfettamente congruente.
[8] A causa della complessità di questi concetti ne svilupperemo il significato in altra pagina.
[9] «… uno di quei pianoforti Pleyel ch'egli preferiva in particolare per la loro sonorità argentina, non proprio limpida, e per il loro facile tocco… (… un de ces pianos de Pleyel qu'il affectionnait particulièrement à cause de leur sonorité argentine un peu voilée, et de leur facile toucher…)» (F. Liszt, Chopin, Avant-propos d'Alfred Cortot, Paris [Buchet/Chastel] 1977, p. 156). Nella traduzione abbiamo reso voilée con 'non limpida', per evitare la contraddizione con argentine. La subdola frecciata di Liszt all'indirizzo dei pianoforti Pleyel è evidente: per lui erano strumenti senza potenza.
[10] Cf. H. Blaze de Bury, Musiciens contemporains, Paris (Michel Lévy Frères) 1856, p. 118: «Quando sono mal disposto – diceva un giorno Chopin –, suono su un piano di Erard, e vi trovo facilmente un suono già fatto; ma, quando mi sento bene e abbastanza forte per trovare il mio proprio suono, allora mi serve un piano di Pleyel (Quand je suis mal disposé, disait un jour Chopin, je joue sur un piano d'Erard et j'y trouve facilement un son tout fait ; mais, quand je me sens en verve et assez fort pour trouver mon propre son à moi, il me faut un piano de Pleyel)».
[11] In linea di principio sotto l'aspetto morale questa norma è molto grave poiché parte dalla presunzione che tutti, in presenza di un conflitto d'interesse apparente o reale, si comportino in modo disonesto. Ma persone oneste che se ne fregano del conflitto d'interesse, esistono. Ed esistono anche giurati imparziali: basta volerli cercare.
[12] Il criterio per il conteggio dei voti è il medesimo sia per il Comitato per le ammissioni sia per la Giuria del concorso (v. il § XV del Regolamento del comitato per le ammissioni e il § XV del Regolamento della giuria del concorso). La sola differenza riguarda lo scarto dalla media matematica: per il aspiranti al Concorso è di 8 punti, per la Prima sessione di 10 punti, per la seconda di 8, per la terza di 6, per la finale di 5.
[13] Si veda in questo sito l'Appendice IX della biografia di Niecks.
[13bis] Il 2 febbraio 2012 abbiamo ricevuto una mail molto garbata dal Prof. Jan Marisse Huizing, nella quale egli ci ha rimproverato d'avergli attribuito la citazione qui stralciata. Avendo egli ragione, abbiamo modificato il testo di queste righe: in effetti, i commenti riportati alle pp. 100÷113 del suo libro sono citazioni di Koczalski (cf., per quanto riguarda lo Studio op. 10 n. 6, Raoul Koczalski, Chopin. Betrachtungen, Skizzen, Analysen, Köln-Bayenthal [Verlag Tischer & Jagenberg] 1936, p. 90, ove il testo è identico a quello dell'edizione precedente citata da Huizing. Quei commenti agli Studi erano stati pubblicati anche in italiano, cf. Fryderik Chopin, Dodici grandi Studi op. 10. Guida all'incisione fonografica del pianista Raoul Koczalski, a cura di Mariangela Donà, Milano [Dischi Fonit - Serie Polydor] 1944, p. 20). Non possiamo che scusarci con il Prof. Huizing per aver arbitrariamente creduto che egli approvasse i commenti di Koczalski e li facesse suoi. A p. 100 del suo libro egli scrive: «Istruito dallo stesso Mikuli, che fu un importante allievo di Chopin, Koczalski si trovava nel solco della vera tradizione del panismo chopiniano. Dunque, egli fu un discendente diretto e, per di più, l'unico allievo di un allievo di Chopin, che abbia inciso su disco tutti gli studi di questo compositore (Selbst von Mikuli unterrichtet, der ein bedeutender Schüler Chopins war, stand Koczalski ganz in der Tradition des Chopin-Spiels. Insofern war er ein direkter Enkel und zudem der einzige Schüler eines Chopin-Schülers, der alle Etüden dieses Komponisten auf Schalplatte aufgenommen hat)». Ebbene, avevamo erroneamente inteso il suo apprezzamento di Koczalski, ai cui commenti riserva una dozzina di pagine, come segno di approvazione. A nostro parere l'unico legame che il piccolo Koczalski (era ancora bambino quando prese lezioni da Mikuli) ebbe con Chopin, fu quello d'essere stato allievo di un allievo di Chopin; tuttavia il suo modo di suonare Chopin, dispiegato nelle sue incisioni, non ha conservato nulla, se mai avesse acquisito qualcosa, della scuola di Chopin. Infine, ringraziamo il Prof. Jan Marisse Huizing per averci onorato della Sua attenzione.
[14] È sconcertante constatare che in un'edizione autorevole come quella polacca curata da Jan Ekier (Etiudy, Warszawa 1999, p, 98) il pedale sia aggiunto alle miss. 1÷3 e 5. Nelle Note al testo musicale (p. 3 delle Commento sull'interpretazione) si precisa che «alternative minori autentiche (singole note, ornamenti, legature, accenti, pedale ecc.) che possono essere considerate come varianti, sono chiuse fra parentesi tonde». Di qui, saremmo curiosi di conoscere la fonte di questo pedale aggiunto, poiché non è né in una delle tre prime edizioni, né in una delle raccolte siglate FED (raccolta appartenuta all'allieva Camille Dubois), FES (raccolta appartenuta all'allieva Jane Stirling) e FEJ (raccolta appartenuta alla sorella Ludwika Jędrzejewicz)!
[15] Di qui, il problema dell'edizione usata dal candidato diviene importante (tratteremo delle edizioni in altra pagina).
[16] Kenner, membro in quest'edizione del Concorso della Terza giuria, nell'edizione del 1990 aveva vinto il secondo premio, mentre avrebbe meritato il primo, che non fu assegnato. Aveva eseguito la Polacca op. 22 davvero molto bene, da primo premio. Come interprete chopiniano sembrava promettere bene, ma, come la maggior parte dei premiati, il suo Chopin, affrontato in modo sempre più intellettualistico, diremmo quasi cervellotico, è andato peggiorando, fino a ricadere in una routine sempre più lontana dalla semantica chopiniana. Ciononostante è il solo membro della giuria, il quale abbia cercato di interpretare il grande compositore percorrendo un suo sentiero, nuovo e personale, ancorché, strada facendo, abbia perso la bussola.
[17] I candidati ammessi alla Prima sessione sono stati 81, ma quelli elencati nella Prima sessione sono 78: i nomi scomparsi sono quelli di Yury Favorin, Ilya Kondratiev e Mu Ye Wu.
[18] Bozhanov e la Avdeeva sono i soli candidati ad essere stati gratificati da un 100: il primo l'ha avuto nella Prima sessione da Freire, in anni lontani un pianista davvero apprezzabile; la seconda nella Seconda sessione da Entremont, negli anni Sessanta del secolo scorso buon routinier.
[19] Non possiamo non rilevare, tra gli errori, almeno il più grave: la non ammissione, nemmeno alla Terza sessione, di Yuma Osaki, decisamente superiore per tocco e tecnica sia ad Hélène Tysman sia ad Ingolf Wunder sia a molti altri. Personalmente non nutriamo alcuna simpatia per i pianisti dell'Estremo Oriente, soprattutto per le pianiste di quella regione. Tuttavia, non essendo di parte, non possiamo passare sotto silenzio un'ingiustizia tanto palese. Siamo anche sicuri che la Osaki con una guida competente potrebbe divenire una buona interprete chopiniana.
[20] Il solo ad avere impresso alle Mazurche un respiro vagamente chopiniano è stato Yury Shadrin, il quale, però, non s'è presentato, così parrebbe, alla Terza sessione.
[21] In altra pagina tratteremo di che cosa intendiamo per esecuzione chopiniana.

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