Anonima Lady Scozzese


LETTERA DI UN'ANONIMA LADY SCOZZESE[*]
(J. Cuthbert Hadden, Chopin, London [J. M. Dent & Co.] 1903, pp. 186÷188)




Condiscendendo alla Sua richiesta di raccontare qualcosa riguardo a Chopin come insegnante, posso solo parlare della mia esperienza personale. Dopo un intervallo di tempo di cinquantasette anni la mia memoria si è affievolita, benché sia ancora in grado di ricordare alcuni episodi distintamente.

Il mio primo incontro con Chopin ebbe luogo a casa sua, a Parigi. Miss Jane Stirling aveva fatto in modo che mia sorella ed io vi andassimo con lei. Ricordo il fuoco vivo del camino nel suo elegante e confortevole salon. Eravamo proprio in questo mese di marzo del 1846. Al centro della sala vi erano due pianoforti: uno a coda, l'altro verticale, entrambi Pleyel; il loro suono ed il tocco erano molto belli.

Dopo poco tempo Chopin entrò da un'altra stanza e ci ricevette con la cortesia e la naturalezza di un uomo abituato alla migliore società. L'aspetto, l'estrema fragilità e la salute delicata sono state descritte più e più volte, e così pure il peculiare fascino dei suoi modi. Miss Stirling mi presentò come sua petite cousine, che aspirava all'onore di studiare con lui. Egli fu molto garbato, ma non diede una risposta immediata. Alla fine, però, fissò il giorno e l'ora per la mia prima lezione, chiedendomi di portare qualcosa che stessi studiando; così, portai la Sonata il la bemolle di Beethoven (op. 26). Non potrei dire che non ero emozionata quando mi sedetti al pianoforte a coda; Chopin si accomodò accanto a me. Non avevo ancora suonato molte battute quand'egli mi disse: “ Laissez tomber les mains. ” Fino a quel momento ero abituata ad espressioni come “abbassate le mani” o “battete” quella nota. Questo lasciar cadere non era solo un fatto meccanico: era per me un concetto nuovo, e in un attimo avvertii la differenza. Chopin mi lasciò finire la bella melodia, dopodiché si mise al mio posto e suonò l'intera Sonata. Fu come una rivelazione. Senza dubbio conoscete bene la celebre Marche funèbre che negli ultimi tempi è stata così spesso eseguita in pubblico nel corso di cerimonie funebri insieme con quella, bellissima e patetica, dello stesso Chopin. Ebbene, egli suonò quella Marche funèbre di Beethoven con un effetto grandioso, orchestrale, potentemente drammatico, tuttavia con una sorta di emozione contenuta indescrivibile. Alla fine si lanciò nel movimento finale con una precisione impeccabile e straordinaria delicatezza: non una nota persa, e con quale meraviglioso fraseggio ed avvicendarsi di luci ed ombre. Rimanemmo incantate, non avendo mai udito nulla di simile.

La lezione successiva iniziò con la Sonata. Egli richiamò la mia attenzione sulla sua struttura, su quello che il compositore voleva dire dal principio alla fine, mostrandomi la grande varietà di tocco e di esecuzione richieste, e molto altro ancora che non saprei esprimere a parole. Dalla Sonata passò alle sue composizioni: le trovai oltremodo incantevoli, ma molto difficili. Se ne stava pazientemente seduto, mentre cercavo di procedere tra i grovigli di complesse ed insolite modulazioni, che non avrei mai potuto capire se egli non mi avesse suonato ogni composizione – fosse essa un Notturno, un Preludio, un Improvviso –, facendomi sentire la struttura, per così dire, su cui s'intrecciavano queste belle e strane armonie; inoltre, mi indicava la particolare diteggiatura, da cui così tanto dipendeva, ed a proposito della quale era molto intransigente.

Parlava molto poco durante le lezioni. Se non riuscivo a capire un passaggio, me lo suonava molto lentamente. Spesso mi stupivo della sua pazienza, perché dev'essere stata una tortura stare ad ascoltare i miei pasticci; tuttavia, non profferì mai un'espressione d'impazienza. Qualche volta andava all'altro pianoforte ed improvvisava sommessamente un perfetto accompagnamento. Una o due volte fu costretto ad allontanarsi verso l'estremo opposto della sala, allorché fu colto da un brutto accesso di tosse; ma mi fece segno di andare avanti e di non farvi caso.

In due occasioni arrivai al termine di una lezione. Una signora, giovane e molto attraente, si stava alzando dal pianoforte; con modi amabili ringraziò Chopin per il piacere ch'egli le aveva dato. Era una nobildonna russa. Nella seconda occasione si trattava di una signora tedesca, una musicista professionale, insieme col marito: mentre se ne andavano, gli manifestarono quanto si sentivano in obbligo. Sentii dire da lei che, da quando prendeva lezioni da Chopin, i suoi studi non erano più un lavoro, ma un diletto.

InviandoLe questi ricordi frammentari, sento che sarebbe sleale verso Chopin se dessero l'impressione ch'egli applicasse un “metodo” secco e sbrigativo. La maggior parte dei suoi allievi - così mi parve sempre - erano già ottimi, se non eccellenti, musicisti, prima che iniziassero a studiare con lui; non abbisognavano di un'istruzione elementare, mentre io ero soltanto una giovane dilettante con solo una grande passione per la musica e con una preparazione minima. A questo proposito Chopin mi chiese che studi avevo fatto, ed io gli dissi che avevo imparato più dall'ascolto dei cantanti che da ogni altra cosa. Ed egli osservò: “Questo è giusto: la musica dovrebbe essere canto”. Ed, invero, sotto le sue mani il pianoforte cantava, ed in molti modi. Guardavo, ascoltavo, ma non riesco a trovare espressioni adeguate per descrivere quel modo di suonare emozionante. Uno non pensava all'“esecuzione”, benché fosse meravigliosa; quella musica sembrava venire dalle profondità del cuore, e colpiva il cuore di chi l'ascoltava. Sono stati scritti volumi, ma credo che nessuno che non l'abbia ascoltato, potrebbe capire quella forza magnetica. Per me è ancora un piacere profondo, seppur in qualche modo triste, sfogliare le pagine con ai margini i segni a matita di Chopin, premurose e brevi aggiunte al testo stampato.

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[*] Nel 1903 James Cuthbert Hadden (1861-1914) pubblicò una biografia di Chopin, che nella Prefazione egli giustifica nel modo seguente: «Ho cercato di raccontare la storia della vita di Chopin in modo semplice e diretto, per delineare in maniera chiara l'uomo, e parlare del compositore senza sconfinare nel mero formalismo». Infatti, ammessa l'autorità del Niecks, «la Vita del Karasowski – afferma Hadden – è di valore…, (ma) è scritta senza talento letterario ed è sfigurata da molti racconti acriticamente infiorati». E che dire della biografia scritta da Liszt? Una biografia!? Per carità, «la cosiddetta biografia di Liszt, non è affatto una biografia, ma piuttosto una symphonie funèbre». Insomma, fra tutti gli autori Hadden dice di sentirsi in debito solo verso Hadow (1859-1937) (v. Studies in Modern Music, Second Series, by W. H. Hadow, New York [Macmillan and Co] 1894, pp. 77÷170) e Huneker (1857-1921) (v. James Huneker, Chopin, The Man and His Music, New York [Charles Scribner's Sons] 1900).
Al di là di ogni valutazione del lavoro di Hadden, egli riporta alcuni documenti interessanti. Uno di questi è la lettera di un'anziana lady scozzese che aveva preso alcune lezioni da Chopin. «La corrispondente desidera restare anonima – scrive Hadden –, ma sono stato autorizzato a dire che è una lontana cugina di Miss Stirling». La lettera è datata 27 marzo 1903.

Sintetizzando, da questa breve lettera, scritta da una signora tanto modesta quanto intelligente, si rileva che Chopin insegnante:
– prima di iniziare lo studio di un brano, ne illustrava la struttura, il significato;
– stabiliva la diteggiatura, cui teneva in modo molto rigoroso;
– chiariva i passaggi più complessi eseguendoli lentamente all'allievo;
– rimarcava l'importanza del canto.
L'osservazione sulla 'caduta' della mano, implicita in altre testimonianze, ma espressa chiaramente solo qui, mostra l'acume di questa signora, con la quale Chopin fu sempre molto paziente. Perché? Forse perché, sebbene dilettante, a dispetto della sua estrema modestia capiva al volo ogni cosa.
Le osservazioni su Chopin pianista sono in linea con le altre testimonianze: somma abilità nell'ottenere effetti diversi; il pianoforte canta; precisione tecnica; magnetismo; ed il suo modo di suonare era tanto meraviglioso quanto indescrivibile: in breve, ineguagliabile.

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