Frederick Niecks

Frederick Nicks, Frederick Chopin as a Man and Musician, London (Novello and Co., Ltd.) 31902, 2 voll.


CAPITOLO XXVIII
(II, pp. 174÷190)

CHOPIN INSEGNANTE: IL SUO SUCCESSO O MANCATO SUCCESSO COME TALE – I SUOI ALLIEVI, AMATORI(a) O PROFESSIONISTI – METODO D'INSEGNAMENTO – REPERTORIO DIDATTICO

S

iccome Chopin suonava raramente in pubblico e dalle sue composizioni non riusciva a ricavare il necessario per vivere decorosamente, non gli rimaneva che insegnare; la qual cosa faceva fino ad esaurimento delle forze. Ma lungi dal considerare l'insegnamento un peso, dice il suo allievo Mikuli, vi si dedicava con vero piacere. È peraltro naturale che un insegnante provi diletto nell'insegnare solo quando ha allievi di un certo tipo; Chopin, però, diversamente dalla maggior parte degli insegnanti, non ebbe di questi problemi, poiché, stando alle testimonianze tutte concordi, era difficile essere preso come allievo: non dava affatto lezioni a chiunque glielo chiedesse. Quando stava bene, insegnava regolarmente dalle quattro alle cinque ore al giorno; negli ultimi anni solo, o quasi solo, a casa sua. Il compenso dovuto era di 20 franchi a lezione, che l'allievo lasciava sulla mensola del camino.

Chopin era un buon insegnante? I suoi allievi, senza eccezioni, lo affermano con forza. Gli altri, però, si domandano: ma, allora, com'è che un così grande virtuoso non ha formato esecutori che abbiano fatto il giro del mondo in virtù della loro fama? Hallé, nel rilevare il fatto che gli allievi di Chopin non si sono distinti, non sapeva decidersi se questo fosse dovuto a carenze dell'insegnate o a qualche altra causa. Liszt, parlandomi di questo, osservò semplicemente: «Chopin fu sfortunato con i suoi allievi; nessuno di loro è diventato un esecutore di rilievo, benché alcuni, di nobile lignaggio, suonassero molto bene». Se confrontiamo la discendenza pianistica di Liszt con quella di Chopin, la differenza è davvero impressionante. Ma a questo punto s'impongono alcune considerazioni: Chopin insegnò per un periodo più breve di Liszt; molti dei suoi allievi, diversamente da quelli di Liszt, suonavano per diletto; e può non essergli capitata la stoffa di cui son fatti i virtuosi. Che Chopin fu sfortunato con i suoi allievi, può essere provato dalla prematura morte di alcune vere promesse. Carlo Filtsch, nato a Hermannstadt (Transilvania) intorno al 1830, di cui Liszt e Lenz parlano così bene (v. Capitolo XXVI), morì l'11 maggio 1845 a Venezia,(b) dopo aver fatto colpo nel 1843 a Londra e a Vienna sia per le qualità poetiche sia per la tecnica. A Londra “il piccolo Filtsch” suonò almeno due volte in pubblico (il 14 giugno al St. James's Theatre, tra due spettacoli, e il 4 luglio ad una matinée tutta sua al Hanover Square Rooms), ripetutamente in case private, ed ebbe anche l'onore di apparire davanti alla regina a Buckingham Palace. J. W. Davison riferisce nella sua prefazione all'edizione delle mazurche e dei valzer di Chopin (Boosey & Co.) una circostanza a riprova delle doti musicali del giovane virtuoso: «Chiamato ad eseguire in pubblico il secondo concerto di Chopin, siccome non si trovavano le parti orchestrali, Filtsch, per nulla disarmato, le scrisse tutte a memoria». Un altro grande talento dalla vita breve fu Paul Gunsberg.[c] «Questo giovane», mi disse Mme Dubois, «era dotato di straordinarie capacità. Chopin ne aveva fatto un ammirevole esecutore. Se non fosse morto di consunzione, sarebbe diventato celebre». Ignoro quando Gunsberg sia morto; so che l'11 maggio 1855 era ancora vivo, perché quel giorno suonò in duo un brano di Schumann con il suo condiscepolo Tellefsen in un concerto dato da quest'ultimo a Parigi. Un terzo allievo prematuramente strappato alla vita fu Caroline Hartmann, figlia di un industriale, nata a Munster, vicino a Colmar, nel 1808.[d] Venne a Parigi nel 1833 e morì, l'anno dopo, d'amore per Chopin, mi disse Edouard Wolff. Altre fonti, però, ascrivono la triste fine ad una causa meno romantica: se, da un lato, lo studio perseverante sotto la direzione di Chopin e Liszt, l'aveva resa un'eccellente pianista, dall'altro il duro lavoro l'aveva portata a disturbi polmonari ai quali soccombette il 30 luglio 1834. La Gazette Musicale del 17 agosto 1834, che dà notizia della sua morte, la dice allieva di Liszt, Chopin e Pixis, senza commentare le sue doti pianistiche. Spohr l'ammirava quand'era bambina.

Se Chopin non ha plasmato virtuosi del calibro di Tausig e Hans von Bülow, nondimeno ha formato molti pianisti assai abili. Stendere una elenco di tutti gli allievi certi del maestro, non servirebbe ad altro che a sodisfare una futile curiosità; tuttavia, quelli che desiderano sodisfare una tale futile curiosità, possono farlo in certa misura passando in rassegna le dediche delle opere di Chopin, dacché i nomi in esse contenuti – con poche e per lo più ovvie eccezioni – sono quelli degli allievi. Lo stuolo di principesse, contesse, etc., non potrà che giocoforza impressionare l'investigatore. Ascoltiamo ciò che l'illustre maestro Marmontel ha da dire a questo riguardo:

Tra i pianisti-compositori che hanno avuto l'immenso vantaggio di prendere lezioni da Chopin per assimilare essi stessi il suo stile e i suoi modi, dobbiamo citare Gutmann, Lysberg e il nostro caro collega G. Mathias. Le principesse di Chimay, Czartoryska, le contesse Esterhazy, Branicka, Potocka, di Kalergis, d'Est, le Mlles Müller e de Noailles erano le sue allieve affezionate [disciples affectionnées]; Mme Dubois, nata O'Meara, è una dei suoi allievi prediletti [élèves de prédilection] e numera tra quelli il cui talento ha meglio preservato le tradizioni caratteristiche e le peculiarità [procédés] del maestro. [e]

Sembra opportuno dare qualche ragguaglio su due degli allievi amatori e dire qualcosa in più degli allievi professionali. Tra gli allievi amatori, va citata in primo luogo, e soprattutto, la principessa Marcelina Czartoryska, la quale ha suonato qualche volta in pubblico a scopo benefico, e di cui si è detto spesso che è la più fedele interprete dello stile del suo maestro. Ora, gli elogi che le sono stati tributati, sarebbero stati così entusiastici se fosse stata una pianista professionale piuttosto che una principessa? La domanda parrebbe offensiva da parte di chi non ha avuto il piacere di ascoltarla, ma viene spontanea. In ogni caso, che ella sia, o sia stata, un'ottima esecutrice che da intima amica e connazionale assimilò completamente lo spirito della musica del maestro, pare indubbio.[1] G. Chouquet mi raccomandò di non tralasciare di citare fra gli allievi di Chopin Eliza Peruzzi, la moglie dell'ambasciatore del duca di Toscana presso la corte di Luigi Filippo:

Questa virtuosa [mi scrisse il defunto conservatore del Musée del Conservatorio di Parigi] non aveva minor talento della principessa Marcelina Czartoryska. L'ascoltai a Firenze nel 1852 e posso assicurarvi che suonò Chopin nel vero stile e con tutti i tratti (traits) inediti del maestro. Era di origine russa.

Basti questo sugli allievi amatori. Mlle Friederike Müller, sposata da molti anni con il costruttore di pianoforti viennese J. B. Streicher, è considerata da molti come la più dotata fra gli allievi prediletti di Chopin, ed è certamente una delle più dotate.[2] Il fatto che il compositore le dedicò l'Allegro de concert op. 46 può ben essere considerato come segno d'affetto e di stima. Carl Mikuli trovò il suo aiuto di grande importanza per la preparazione della sua edizione delle opere di Chopin, dacché ella aveva preso lezioni dal maestro per diversi anni e per di più aveva avuto l'opportunità di ascoltarlo in molte altre occasioni. Lo stesso autorevole Mikuli, citando Mme Dubois (nata O'Meara)[3] e Mme Rubio (nata Vera de Kologrivoff), le definisce «eccellenti pianiste [höchst ausgezeichnete Pianistinnen], il cui grande talento aveva goduto delle speciali cure del maestro». Quest'ultima prese lezioni da Chopin dal 1842 al 1849 e negli ultimi anni funse da assistente, come vedremo, facendosi carico di alcuni dei suoi allievi. Mme Dubois, che studiò con Kalkbrenner dai nove ai tredici anni, divenne poi un'allieva di Chopin, col quale rimase cinque anni. Era difficile ottenere che accettasse un altro allievo, ma la raccomandazione di Albrecht, un comune amico del padre di lei e di Chopin, ebbe esito positivo. Benché l'abbia sentita suonare uno o due brani brevi di Chopin ed anche in circostanze non favorevoli, vale a dire al termine della stagione invernale e mentre faceva un caldo tropicale, posso affermare che il suo tocco soave, il perfetto legato e la delicatezza dei sentimenti sembravano avvalorare l'osservazione sopra citata di Marmontel. Mme Dubois, una delle insegnanti di pianoforte più apprezzate di Parigi, fino a non molto tempo fa era solita suonare in pubblico, ancorché negli ultimi anni con minor frequenza rispetto a quelli precedenti. Devo ora stralciare un passaggio della lettera di Mme Girardin del 7 marzo 1847, vol. VI di Le Vicomte de Launay, dove, dopo aver descritto la bellezza di Mlle O'Meara, più in particolare il suo sguardo irlandese, con “quel misto di tristezza e serenità, di profonda tenerezza e riservata dignità, che non troveresti mai negli sguardi orgogliosi e vivaci che ammiri nelle donne delle altre nazioni”, dice:

L'abbiamo sentita poche ore fa; ha suonato in modo davvero superlativo il bel Concerto in mi bemolle minore [naturalmente mi minore] ed è stata applaudita con entusiasmo.[4] Tutto quel che possiamo dire per darvi un'idea del modo di suonare di Mlle O'Meara è che vi è in esso tutto ciò che è nel suo sguardo e, in aggiunta, una scuola ammirevole ed un'eccellente destrezza delle dita. Il suo successo è stato completo; nell'ascoltarla, uomini di stato s'erano commossi… e le giovani signore, quelle che sono buone musiciste, dimenticarono la sua grazia.

Riguardo agli allievi maschi di Chopin va citato George Mathias (nato a Parigi nel 1826), il famoso professore di pianoforte al Conservatorio di Parigi,[5] ed ancor più diffusamente noto compositore di oltre un mezzo centinaio d'opere importanti (sonate, trii, concerti, composizione sinfoniche, pezzi per pianoforte, arie, ecc.), il quale fruì dell'insegnamento del maestro dal 1839 al 1844; Lysberg (1821-1873), il cui vero nome era Charles Samuel Bovy, per molti anni professore di pianoforte al Conservatorio della sua città natale, Ginevra, e compositore davvero fecondo di brani pianistici da salotto (fra l'altro, dell'opera comica in un atto La Fille du Carillonneur), caratterizzato da una «sensibilità molto poetica, una forma estremamente accurata, un colore originale ed in cui spesso sembra di veder passare lo spirito di Weber o Chopin»;[6] il norvegese Thomas Dyke Acland Tellefsen (1823-1874), insegnante di pianoforte a Parigi ed autore di un'edizione delle opere di Chopin; Carl Mikuli (nato a Czernowitz nel 1821), dal 1858 direttore della Galician Musical Society (conservatorio, concerti, ecc.) ed autore di un'edizione delle opere di Chopin; e Adolph Gutmann, l'allievo prediletto del maestro par excellence, di cui dobbiamo parlare un po' più a lungo. Karasowski fa anche menzione di Casimir Wernik, che morì a San Pietroburgo nel 1859, e di Gustav Schumann, insegnante di pianoforte a Berlino, che però prese lezioni dal maestro polacco soltanto durante l'inverno 1840-1841. Agli inglesi potrà interessare sapere che il defunto Brinley Richards e Lindsay Sloper furono allievi di Chopin, l'uno per breve tempo, l'altro per un periodo più lungo.

Adolph Gutmann era un ragazzo di quindici anni quando nel 1834 suo padre lo condusse a Parigi per affidarlo a Chopin. Questi, tuttavia, sulle prime non si sentiva propenso ad assumere una tale cura; ma quando sentì il ragazzo suonare, fu così favorevolmente impressionato dalle sue capacità che acconsentì ad occuparsi della sua educazione artistica. Chopin sembra aver sempre avuto una totale fiducia nel suo muscoloso allievo, benché alcuni dei suoi amici, grandi pianisti, pensassero che una tale fiducia non fosse altro che una bizzarra fissazione. Vi sono però piccanti aneddoti riferiti dai condiscepoli volti a dimostrare che a Chopin non importasse poi molto di lui. Ad esempio, il seguente: qualcuno chiese al maestro come procedesse il suo allievo: “Oh, fa un'ottima cioccolata,” fu la risposta. Sfortunatamente non posso dire nulla per esperienza diretta sul modo di suonare di Gutmann, benché abbia trascorso con lui otto giorni: eravamo, infatti, in cima a una montagna, nel Tirolo, dove non vi erano pianoforti. Ma la fiducia di Chopin in Gutmann per me conta, come pure conta l'opinione di Moscheles che lo definiva un “eccellente allievo”, più ancora, penso, della testimonianza del dr. A. C. Mackenzie, il quale su mia richiesta fece visita a Gutmann a Firenze svariate volte e ne rimase favorevolmente impressionato, notando soprattutto la bellezza del suono mista alla potenza. Per quanto mi è dato sapere, Gutmann pianificò solo una volta, nel 1846, una regolare tournée concertistica, munito di lettere di presentazione da parte di Chopin per le più alte personalità di Berlino, Varsavia e San Pietroburgo. Grazie all'intervento della contessa Rossi ((Henriette Sontag) egli fu invitato a suonare a un concerto di corte a Charlottenburg in occasione del compleanno del Re.[7] Ma il giorno dopo il concerto fu preso da una tale nostalgia di casa che ritornò immediatamente a Parigi, lasciando Chopin stupefatto. Forse, il lettore può essere interessato a conoscere ciò che un redattore della Gazette Musicale scrisse il 24 marzo 1844 sull'allievo prediletto di Chopin:

Il signor Gutmann è un pianista dal tratto elegante ma in qualche modo freddo; egli possiede quel che si dice buone dita e le usa con molta destrezza. Il suo modo di procedere è piuttosto quello di Thalberg che non quello del capace professore che gli ha dato lezioni. Egli ha deliziato gli amanti del pianoforte [amateurs de piano] alla soirée musicale data lo scorso lunedì da Erard. Un plauso particolare è stato tributato alla sua fantasia sul Freischütz.

Ovviamente, le opinioni dei singoli non costituiscono una prova conclusiva. Gutmann ebbe un tale successo come insegnante e in certa misura anche come compositore (le sue composizioni, detto per inciso, non erano nello stile del maestro, ma in uno più leggero, salottiero) che ancor giovane avrebbe potuto ritirarsi dalla professione. Dopo aver viaggiato per un certo tempo, si stabilì a Firenze, dove inventò l'arte o almeno praticò l'arte che aveva precedentemente inventato, di dipingere con i colori ad olio sul raso. Morì a La Spezia il 27 ottobre 1882.[8]

Quale che sia l'interesse del lettore riguardo agli allievi di Chopin, egli sarà certamente più interessato al resoconto sul modo e sul metodo d'insegnamento del maestro. Un tal resoconto che sarebbe interessante per ogni virtuoso non comune, il quale si fosse dedicato all'insegnamento, lo è a maggior ragione nel caso di Chopin: in primo luogo, perché può aiutarci a capire come mai un virtuoso tanto eccezionale non formò un solo rimarchevole concertista; in secondo luogo, perché getta maggior luce sul suo carattere come uomo ed artista; terzo, perché – come Mikuli pensa si possa affermare senza esagerazione – «solo gli allievi di Chopin conobbero il pianista nella sua insuperata grandezza». I materiali a mia disposizione sono abbondanti e non per questo meno degni di fede. Il mio resoconto si basa soprattutto su quanto riferitomi da alcuni allievi del maestro, segnatamente Mme Dubois, Mme Rubio, Mathias, Gutmann, e sull'eccellente prefazione di Mikuli alla sua edizione delle opere di Chopin. Quand'ho attinto ad altre fonti, non l'ho fatto senza una preventiva disamina e verifica. Posso aggiungere che userò per quanto possibile gli ipsissima verba dei miei relatori:

Quanto al metodo d'insegnamento di Chopin [mi scrisse Mathias], era assolutamente della vecchia scuola del legato, della scuola di Clementi e Cramer. Naturalmente egli l'aveva arricchita di una grande varietà di tocco [d'une grande variété dans l'attaque de la touche]; egli otteneva una meravigliosa varietà di suono e nuances di suono; per inciso, posso dirvi ch'egli aveva uno straordinario vigore, ma soltanto per pochi attimi [ce ne pouvait être que par éclairs].

Il maestro polacco, così originale per molti versi, differiva dai suoi confrères anche nell'iniziare i suoi allievi. Per lui la normale posizione della mano non era sopra i tasti do, re, mi, fa, sol (cioè su cinque tasti bianchi), ma sopra i tasti mi, fa #, sol #, la #, si (cioè su due tasti bianchi e tre neri, questi ultimi in mezzo a quelli). La mano doveva cadere sulla tastiera con leggerezza come se dovesse riposare su questi tasti, e ciò non solo per assicurarle una posizione più vantaggiosa, ma anche più aggraziata:[9]

Chopin [mi riferì Mme Dubois] faceva iniziare lo studio delle scale con quella di si maggiore, molto lentamente, senza rigidezze. L'obiettivo primario era la flessibilità. Durante la lezione ripeteva incessantemente: “Con facilità, con facilità [facilement, facilement]”. La rigidezza lo esasperava.

Quanto lo contrariassero la rigidezza e il sobbalzare della mano può essere giudicato da quanto Mme Zaleska riferì a Kleczyński. Un allievo, avendo suonato con una certa trascuratezza l'arpeggio iniziale del primo studio (in la bemolle maggiore) del secondo libro dei Préludes et Exercices di Clementi, il maestro balzò sulla sedia ed esclamò: “Che cos'è questo? Il latrato di un cane? [Qu'est-ce ? Est-ce un chien qui vient d'aboyer ?]”. La durezza di una tale affermazione senza dubbio sorprenderà; ma Chopin, solitamente gentile, se irritato mostrava il suo lato peggiore, soprattutto negli ultimi anni, quando una salute malferma lo tormentava. S'egli mai arrivò a lanciare la musica dal leggio e a rompere le sedie, come dice Karasowski, non so, né ciò mi è stato confermato dagli allievi. Tuttavia, Mme Rubio mi diceva che Chopin era molto irritabile e, quando insegnava agli amatori, era solito avere sempre una scorta di matite vicino a lui, che, per sfogare la sua collera, faceva a pezzettini in silenzio. Gutmann mi riferì che nei primi tempi del suo tirocinio Chopin andava su tutte le furie, e urlava e sbraitava spaventosamente; immediatamente, però, diventava gentile e cercava di consolare l'allievo quando lo vedeva afflitto e piangente.

In verità [scrive Mikuli], pretendeva molto dal talento e dall'impegno dell'allievo. Capitavano spesso des leçons orageuses come si chiamavano in gergo, e qualcuno lasciava il sacro altare della Cité d'Orléans, rue St. Lazare, con i begli occhi inumiditi dalle lacrime, senza per questo portare il ben che minimo rancore verso l'amatissimo maestro. Ma la severità che lo faceva difficilmente contentabile, la febbrile veemenza, con cui mirava ad elevare i suoi giovani al suo livello, il non desistere dalla ripetizione di un passo finché non fosse capito, erano la garanzia che soprattutto gli stava a cuore il progresso degli allievi. Un sacro zelo artistico lo infervorava; ogni parola che gli usciva dalle labbra era stimolante ed entusiasmante. Spesso le singole lezioni duravano più ore, finché la spossatezza non sopraffaceva maestro e allievo.

In effetti, gli allievi di Chopin non avrebbero potuto serbare il minimo rancore verso il maestro, perché, per usare le parole di Marmontel, essi provavano per lui più che ammirazione: una vera idolatria. Ora, dopo questa parentesi che non abbisogna certo di scuse, torniamo alla parte più importante del nostro tema, il metodo d'insegnamento del maestro.

Agli inizi dell'insegnamento [scrive Mikuli] la prima preoccupazione di Chopin era di liberare la mano da ogni tensione e movimento convulso, spasmodico, così da dotare l'allievo della primaria condizione per poter ben suonare, cioè della souplesse (flessibilità) e, con essa, dell'indipendenza delle dita. Instancabilmente insegnava che i vari esercizi non devono essere meramente meccanici, bensì richiedono l'intelligenza e tutta la volontà dello studente, per cui il ripeterli venti o quaranta volte senza concentrazione (ancor oggi il decantato segreto di troppe scuole) non serve per niente a progredire, men che meno esercitarsi mentre contemporaneamente - era l'opinione di Kalkbrenner - ci si dedica ad una qualche lettura (!).
Temeva soprattutto [mi riferiva Mme Dubois] l'
abrutissement degli allievi. Un giorno mi sentì dire che mi esercitavo sei ore al giorno. S'arrabbiò parecchio, e mi proibì d'esercitarmi più di tre ore. Quest'era altresì il consiglio di Hummel nella sua scuola di pianoforte.

Ma riprendiamo il resoconto di Mikuli:

Trattava i vari tipi di tocco con grande scrupolo, specialmente il suono pieno [tonvolle] e legato.[10] Come ginnastica ausiliare raccomandava la curvatura verso l'interno e verso l'esterno del polso, il ripetuto attacco di polso, la distensione delle dita; tutto ciò, però, con la costante ammonizione d'evitare ogni affaticamento. Faceva eseguire le scale forte, osservando quanto più possibile il legato, e molto lentamente, per passare solo per gradi ad un tempo più veloce, con uguaglianza metronomica. Il passaggio del pollice sotto le altre dita, e viceversa, doveva essere agevolato da un corrispondente movimento della mano verso l'interno. Le scale con molti tasti neri (si maggiore, fa diesis maggiore, re bemolle maggiore) venivano studiate prima delle altre; per ultima, quella di do maggiore, la più difficile. Secondo la medesima sequenza faceva studiare i Préludes et Exercices di Clementi, un'opera ch'egli apprezzava moltissimo per la sua utilità.[11] Per Chopin l'uguaglianza delle scale (ed anche degli arpeggi) si basava non solo sul rafforzamento più uniforme possibile di tutte le dita, da ottenere con gli esercizi, appunto, sulle cinque dita, oltre che da un passaggio del pollice libero da ogni impedimento, quanto piuttosto, badando a lasciare il gomito sempre e assolutamente libero, come sospeso, su un continuo ed armonico, ma non cadenzato, fluente movimento laterale della mano, che egli cercava di dimostrare sulla tastiera con il glissando. Come brani di studio assegnava una scelta dalle Études di Cramer, dal Gradus ad Parnassum di Clementi e, per un perfezionamento superiore, gli studi di stile a lui molto graditi di Moscheles,[11bis] le Suites di Bach e alcune fughe dal Clavicembalo ben-temperato. In certa misura egli enumerava tra gli studi i Notturni di Field ed i suoi propri, poiché l'allievo, in parte con l'aiuto delle sue spiegazioni, in parte con l'intuizione e l'imitazione (egli li suonava sempre volentieri all'allievo)[12] potesse imparare a conoscere, amare ed ottenere un bel suono cantante e legato. Nelle doppie e negli accordi esigeva col massimo rigore la contemporaneità dell'attacco; arpeggiarli, era concesso solo là dove il compositore stesso lo indicava. Quanto ai trilli che faceva iniziare il più delle volte dalla nota superiore, teneva soprattutto all'uguaglianza più che alla velocità e dovevano essere risolti con calma, senza precipitare. Per il gruppetto e l'appoggiatura raccomandava come modelli i grandi cantanti italiani. Faceva suonare le ottave di polso, ma non dovevano perdere per questo di potenza.

Tutti coloro che hanno avuto la fortuna di sentire suonare Chopin, concordano nel dichiarare che uno dei tratti più caratteristici del suo stile esecutivo era la scorrevolezza, e la scorrevolezza, come abbiamo precedentemente osservato, era anche una delle qualità su cui insisteva maggiormente con i suoi allievi. Il lettore ricorderà l'affermazione che mi fece Gutmann, citata nel capitolo precedente, che tutte le diteggiature del maestro erano appositamente valutate per il raggiungimento di un tale scopo. La diteggiatura è il motore primo, il principio determinante, si potrebbe dire la vita e l'anima, della tecnica pianistica. Perciò sarà bene considerare per un momento la diteggiatura di Chopin, soprattutto dal momento che egli è stato uno dei più audaci ed incisivi rivoluzionatori di questo importante capitolo dell'arte pianistica. I suoi meriti in quest'ambito, come pure in altri, le sue varie rivendicazioni sulla priorità della scoperta sono stati troppo spesso trascurati. Come in passato tutti i miglioramenti nella teoria e nella pratica della musica erano attribuiti a Guido d'Arezzo, ora è di moda attribuire ogni perfezionamento ed ampliamento della tecnica pianistica a Liszt, che più di ogni altro pianista attirò su di sé l'ammirazione di tutti, e che attraverso i suoi allievi ha continuato a far sentire la sua presenza anche dopo la fine della carriera di virtuoso. La causa di quest'errata opinione va cercata non tanto nell'eccezionalità della sua personalità artistica che metteva in ombra tutti i suoi contemporanei, quanto nel fatto che egli intrecciava in una sola rete i molti fili, vecchi e nuovi, che vagolavano durante gli anni della sua crescita. La differenza tra Liszt e Chopin sta in questo, che il principio ispiratore del primo è l'universalità, quello del secondo l'individualità. La diteggiatura dell'uno possiamo dire che sia un sistema, quella dell'altro una consuetudine. Probabilmente, abbiamo qui sfiorato anche la causa del successo di Liszt come insegnante e dello scarso successo di Chopin. Ho chiamato Chopin rivoluzionatore della diteggiatura; ebbene, credo che il completo affrancamento del pollice, l'abbattimento di ogni distinzione di rango fra le altre dita, in breve, l'introduzione di una libertà che può talvolta degenerare in arbitrio, giustifichi l'espressione. Che questa diteggiatura del maestro risulti occasionalmente eccentrica (che presuppone mani particolarmente flessibili ed un particolare studio), non si può negare; ma, tutto considerato, non solo è ben appropriata alla corretta resa delle sue composizioni, ma contiene altresì contributi valevoli all'universale sistema di diteggiatura. I seguenti dettagli riferiti da Mikuli saranno letti con interesse e non potranno essere fraintesi dopo quel che è stato detto sull'argomento:

Nell'indicare la diteggiatura, in particolare quella a lui peculiare, Chopin non si risparmiava. In quest'ambito la tecnica pianistica gli deve importanti innovazioni, che in virtù della loro utilità vennero presto adottate, non ostante che agli inizi autorità quali Kalkbrenner vi si contrapponessero recisamente. Così Chopin utilizzava senza esitazione il primo dito sui tasti neri e, tenendo invero il polso decisamente posizionato verso l'interno, lo passava persino sotto il quinto dito, se questo poteva facilitare l'esecuzione e conferirle più calma e uguaglianza. Non di rado suonava con uno stesso dito due tasti contigui (e non solo nello scivolare da un tasto nero ad uno bianco) senza che si potesse avvertire la ben che minima interruzione di suono. Ancora, passava le dita più lunghe le une sulle altre senza l'aiuto del pollice (v. Étude n. 2 op. 10) e non solo nei passaggi ove, essendo il pollice occupato a tenere premuto un tasto, ciò era inevitabile. La diteggiatura delle terze cromatiche basata su questi principi (com'egli la annota nell'Étude n. 5 op. 25) offre, ad un grado molto superiore rispetto a quello in uso prima di lui, la possibilità del più bel legato nel tempo più veloce e con la mano affatto tranquilla.

Ma se la scorrevolezza era uno dei punti su cui Chopin insisteva maggiormente, non era per nulla soddisfatto della mera perfezione tecnica. Raccomandava agli allievi d'intraprendere per tempo gli studi teorici, segnalando quale insegnante il suo amico, compositore e teorico, Henri Reber. Raccomandava ancora di coltivare la musica d'insieme: trii, quartetti, ecc., qualora potessero avere compagni di valore, altrimenti di suonare a quattro mani. Molto insistente era l'invito ad ascoltare buoni cantanti e persino di studiare canto. A Mme Rubio disse: “Dovete cantare se volete suonare”; e le fece prendere lezioni di canto ed ascoltare molta opera italiana; cosa quest'ultima che Chopin, osservava la signora, considerava come decisamente necessaria per un pianista. In detto consiglio possiamo riconoscere l'ideale esecutivo di Chopin: bellezza di suono, fraseggio razionale, autenticità e calore d'espressione. I suoni che sapeva trarre dal pianoforte erano puro suono, non intaccato da altro che potesse essere chiamato frastuono. “Non pestava mai”, mi diceva Gutmann. Secondo Mikuli, Chopin asseriva ripetutamente che, quando sentiva fraseggiare in modo errato, era come se uno declamasse in una lingua a lui ignota un discorso faticosamente mandato a memoria, trascurando non solo la corretta quantità delle sillabe, ma persino interponendo un punto fermo in mezzo a una parola. “Lo pseudo-musicista, fraseggiando in modo errato – così la pensava –, dà a divedere che la musica non è la sua lingua, ma qualcosa d'incomprensibile per lui”, e che, di conseguenza, “come quel declamatore, deve rinunciare completamente all'idea di produrre un effetto qualunque sugli ascoltatori”. Chopin odiava l'esagerazione[13] e l'affettazione. La sua regola era: “Suona come senti”. Tuttavia odiava la mancanza di sentimento tanto quanto il sentimentalismo. Ad un allievo che suonava non mostrando altro che l'abilità delle dita, disse con forza e scoramento: “ Mettez-y donc toute votre âme (su, metteteci tutta la vostra anima) ! ”

Quanto alla declamazione e all'esecuzione in generale [scrive Mikuli] egli offriva agli allievi inestimabili e significativi insegnamenti e consigli, ma confidava di riuscire più convincente suonando ripetutamente non solo alcuni passaggi bensì interi brani, e questo con uno scrupolo, con un entusiasmo, come ben difficilmente si aveva l'opportunità di sentire in una sala da concerto. Frequentemente l'intera ora di lezione passava senza che l'allievo avesse suonato più di qualche battuta, mentre Chopin, interrompendolo e correggendolo seduto al suo Pleyel verticale (l'allievo sedeva sempre ad un eccellente pianoforte da concerto, ed era suo dovere esercitarsi solo su ottimi strumenti), offriva alla sua ammirazione ed emulazione lo sfolgorante ideale della più alta bellezza.

Riguardo alla consuetudine di suonare agli allievi, dobbiamo tener presente quanto detto nella nota 12. Su un altro punto contenuto nello stralcio appena citato, una delle comunicazioni fattemi da Mme Dubois contribuisce a fare chiarezza:

Chopin [diceva] aveva sempre un verticale a fianco del piano a coda su cui dava lezione. Era meraviglioso sentirlo accompagnare: non aveva importanza quale fosse la composizione, dai concerti di Hummel a quelli di Beethoven. Egli suonava la parte dell'orchestra in modo assolutamente fantastico [d'une façon prodigieuse]. Quando suonavo i suoi concerti, mi accompagnava in questo modo.

A giudicare dai vari resoconti, Chopin sembra aver considerato i suoi allievi polacchi come più adatti di quelli di altre nazionalità per rendere piena giustizia alle sue composizioni. Karasowski riferisce che, quando uno degli allievi francesi suonava le sue composizioni e gli ascoltatori ricoprivano di elogi l'esecutore, il maestro era solito rimarcare che l'allievo aveva fatto molto bene, ma che mancavano l'elemento e l'entusiasmo polacco. Qui, non si può non ricordare la contesa tra Chopin, da un lato, e Liszt e Hiller, dall'altro, sulla possibilità degli stranieri di comprendere la musica nazionale polacca (v. vol. I, p. 256). Dopo aver svelato il mistero del tempo rubato di Chopin, Liszt scrive nel suo libro sul maestro:

Tutte le sue composizioni devono essere suonate con questa sorta di balancement accentué et prosodié, questa morbidezza, di cui è difficile carpire il segreto, se non lo si è ascoltato spesso proprio da lui. Egli pareva desideroso d'insegnare questo modo ai suoi numerosi allievi, specialmente ai suoi compatriotti, ai quali voleva, più che ad altri, comunicare il respiro della sua ispirazione. Questi [ceux-ci, ou plutôt celles-là] lo facevano proprio con quell'attitudine che hanno per ogni forma di sentimento e di poesia. Un'innata comprensione del suo pensiero permetteva loro di seguire tutte le fluttuazioni del suo celeste ondeggiare.[13bis]

C'è una cosa che vale la pena d'indagare prima di chiudere questo capitolo, poiché può aiutarci a capire più nel profondo il carattere di Chopin come insegnante: intendo il suo repértoire didattico. Mikuli afferma che, attentamente valutate secondo la difficoltà, Chopin proponeva ai suoi allievi le seguenti composizioni: i concerti e le sonate di Clementi, Mozart, Bach Händel, Scarlatti, Dussek, Field, Hummel, Ries, Beethoven; quindi Weber, Moscheles, Mendelssohn, Hiller, Schumann, e le sue proprie composizioni. Tuttavia, quest'elenco non concorda con i resoconti provenienti da altre fonti egualmente autentiche. Gli allievi di Chopin con cui ho parlato o con i quali v'è stato uno scambio di corrispondenza, non hanno mai studiato Schumann con il loro maestro. Quanto a Beethoven, era utilizzato, non v'è dubbio, in misura limitata. Mathias, invero, mi diceva che Chopin mostrava una certa preferenza per Clementi (Gradus ad Parnassum), Bach, Field (di cui si suonava molto, segnatamente i concerti), e poi naturalmente anche Beethoven, Weber, ecc.; ma Clementi, Bach, e Field restavano sempre i compositori più assegnati ai débutants. Mme Rubio, d'altro canto, s'è limitata a dichiarare che Chopin le dava da studiare Hummel, Moscheles, e Bach, ma non ha mai menzionato Beethoven. Le affermazioni di Gutmann a proposito dell'insegnamento del suo maestro contengono una testimonianza concreta per quel che riguarda Beethoven: Chopin riteneva che il Gradus ad Parnassum di Clementi, le fughe per pianoforte di Bach e le composizioni di Hummel rappresentassero la chiave della tecnica pianistica, e considerava che lavorare su questi compositori fornisse una preparazione adeguata per affrontare le sue proprie opere. Hummel e il suo stile gli piacevano molto; Beethoven sembrava piacergli meno: di lui apprezzava pezzi come il primo movimento della Sonata Al chiaro di luna (do diesis minore, op. 27 n. 2). Schubert era uno dei favoriti. Questo, almeno, è quel che ho appreso da Gutmann. Ma fra parentesi, per così dire, mi chiedo: non è strano che nessun allievo, ad eccezione di Mikuli, citi il nome di Mozart, il compositore che Chopin, così si dice, abbia tanto ammirato? Grazie a Mme Dubois, la quale, su mia richiesta, ha avuto l'amabilità di stendere un elenco delle opere che ricordava d'aver studiato con Chopin, saremo in grado di farci un'idea piuttosto precisa del materiale didattico utilizzato da Chopin, materiale che, ovviamente, poteva variare a seconda delle capacità dell'allievo e degli scopi che si proponevano. Ebbene, Mme Dubois dice che iniziò con il secondo libro dei Préludes et Exercices di Clementi, e che con lui studiò anche il Gradus ad Parnassum del medesimo autore, e i quarantotto preludi e fughe di Bach. Della sua alta opinione circa i pregi didattici delle composizioni di Bach possiamo farci un'idea dalla raccomandazione che il maestro le fece durante il loro ultimo incontro (già ricordato in un precedente capitolo), cioè di esercitarvisi costantemente: “ ce sera votre meilleur moyen de progresser (questo sarà il miglior modo per fare progressi).” I brani studiati con lui includevano i seguenti pezzi: di Hummel il Rondo brillant sur un theme russe (op. 98), La Bella capricciosa, la sonata in fa diesis minore (op. 81), i concerti in la minore e si minore, e il settetto; di Field diversi concerti (quello in mi bemolle tra gli altri) e diversi notturni (“ Field ,” dice, “ lui était très sympathique ”); di Beethoven, i concerti e svariate sonate (Al chiaro di luna, op. 27 n. 2, quella con la marcia funebre, op. 26, e l'Appassionata, op. 57); di Weber le sonate in do e la bemolle maggiore (Chopin faceva suonare queste due opere con estrema cura); di Schubert i Ländler, tutti i valzer e alcuni dei duo (le marce, le polacche e il Divertissement hongrois, che ammirava sans reserve); di Mendelssohn solo il concerto in sol minore e le Romanze senza parole; di Liszt non altro che La Tarantelle de Rossini e il settetto dalla Lucia (“ mais ce genre de musique ne lui allait pas, ” assicura la mia informatrice); di Schumann nulla.[13ter]

Gli interessanti ricordi di Mme Streicher, riferiti nell'Appendice IX, costituiscono un supplemento a questo capitolo.

NOTES

(a) Abbiamo tradotto amateur con 'amatore', poiché il corrispondente 'dilettante' ha assunto in italiano – grazie alla misera invidia degli acculturati certificati – significato spregiativo. [Nota del traduttore.]
(b) Di appendicite (cf. F. Gajewski, New Chopiniana from the Papers of Carl Filtsch, in “Studi Musicali” 11 [1982], p. 171). [N.d.tr.]
[c] La corretta grafia sarebbe Guntzberg. [N.d.tr.]
[d] Secondo J.-J. Eigeldinger l'esatta data di nascita sarebbe 17 ottobre 1807 (cf. Chopin vu par ses élèves, nouv. éd., Paris [Fayard] 2006, p. 300 n. 86). [N.d.tr.]
[e] Cf. A. Marmontel, Les pianistes célèbres, Paris (Heugel et Fils) 1878, p. 7. [N.d.tr.]
[1] «La principessa Marcelina Czartoryska», scrisse Sowiński nel 1857 nel suo articolo Chopin del suo Musiciens polonais, «elegante interprete, sembra avere ereditato le peculiarità di Chopin specialmente nel fraseggio e nell'accentuazione. Ultimamente ha suonato a Parigi con molto successo il magnifico Concerto in fa minore durante una manifestazione a beneficio dei poveri». Un critico, scrivendo nella Gazette Musicale dell'11 marzo 1855 di un concerto dato dalla principessa, in cui suonò un Andante con variazioni per pianoforte e violoncello di Mozart, un Rondò per pianoforte e orchestra di Mendelssohn, e il Concerto in fa minore di Chopin, insieme con Alard come direttore e Franchomme come violoncellista, e i cantanti Mme Viardot e M. Fédor, elogiò soprattutto la sua resa dell'Adagio del Concerto di Chopin. Lenz era l'ammiratore più entusiasta che ho incontrato: egli (nella Berliner Musikzeitung, vol. XXVI) definisce la principessa una natura sommamente dotata, la migliore allieva [Schülerin] di Chopin, e l'incarnazione dello stile pianistico del suo maestro. Ad una serata musicale in casa del conte Wilhorski a San Pietroburgo, in cui ella suonò un valzer e la Marche funèbre di Chopin, il suo modo di suonare fece una tale impressione che si ritenne fuori luogo per quella sera fare altra musica, dal momento che il trio della marcia aveva commosso i presenti fino alle lacrime. La principessa riferì a Lenz che in un'occasione in cui Chopin le suonò questo trio, cadde in ginocchio davanti a lui, sentendosi indicibilmente felice.
[2] Suonava in pubblico a Vienna già nella quarta decade di questo secolo, il che dev'essere stato prima del suo arrivo a Parigi (v. Eduard Hanslick, Geschichte des Concertwesens in Wien, p. 326). Il matrimonio pose termine alla sua carriera professionale.
[3] Parente di Edward Barry O'Meara, medico di Napoleone I a Sant'Elena, ed autore di Napoleon in Exile.
[4] Chopin l'accompagnava su un secondo pianoforte. Ciò avvenne durante una soirée nella casa di Mme de Courbonne.
[5] Si è ritirato uno o due anni fa.
[6] Supplément et Complément alla Biographie universelle des Musiciens di Fétis, pubblicati sotto la direzione di Arthur Pougin.
[7] La sua parte di programma consisteva nel Concerto in mi minore del maestro (2° e 3° movimento), il n. 3 del primo libro degli studi, e il suo proprio decimo studio.
[8] Le brevi note su Gutmann nella Biographie Universelle des Musiciens di Fétis, nonché quelle dei prosecutori, senza alcun dubbio infallibili autorità, sono molto scorrette. Adolfo Gutmann, Ricordi Biografici, di Giulio Piccini (Firenze, Giuseppe Polverini, 1881) riporta per la gran parte le notizie contenute in Der Lieblingsschüler Chopin's in Schöne Geister di Bernhard Stavenow (Bremen, Kühlmann, 1879), le quali pubblicazioni, elogiative più che biografiche, furono ispirate entrambe da Gutmann.
[9] Kleczyński, in Chopin : De l'interprétation de ses œuvres -Trois conférences faites a Varsovie, afferma d'aver sentito da diversi allievi del maestro che egli qualche volta teneva le sue mani assolutamente piatte (p. 47). Quando chiesi a Mme Dubois di confermarmi la correttezza di una tale affermazione, ella replicò: “Non ho mai notato che Chopin tenesse le sue mani piatte”. In breve, se Chopin in qualche circostanza tenne le mani in questa scomoda posizione, fu un caso eccezionale; la prostrazione fisica può averlo indotto ad indulgere in questa trascuratezza quando l'impegno tecnico della musica che stava suonando, lo consentiva.
[10] Secondo Karasowski Chopin pretendeva in modo assoluto che i suoi allievi facessero gli esercizi prescritti, soprattutto le scale minori e maggiori, dal piano al fortissimo, staccato e legato, accentuando ora la seconda, ora la terza, ora la quarta nota. D'altro canto Mme Dubois è sicura che il suo maestro non le prescrisse mai di eseguire le scale staccato.
[11] Kleczyński scrive che, indipendentemente dal grado di preparazione con cui cominciavano le lezioni, gli allievi dovevano suonare con cura, oltre le scale, il secondo libro dei Préludes et Exercices di Clementi, in particolare quello in la bemolle maggiore.
[11bis] Allude all'op. 70. [N.d.tr.]
[12] Quest'affermazione va presa con molta riserva. Se Chopin suonasse molto o poco ai suoi allievi, dipendeva senza dubbio in gran parte dalla disposizione e dallo stato di salute del momento, forse anche dall'interesse che l'allievo suscitava. Il defunto Brinley Richards mi disse che, quando prendeva lezioni da Chopin, questi raramente gli suonava qualcosa, facendo le correzioni e dando suggerimenti soprattutto a voce.
[13] «Nelle sfumature [im Nuanciren]», scrive Mikuli, «graduava con grande scrupolo il crescendo e il diminuendo». Karasowski scrive: «L'esagerazione nell'accentuazione gli era odiosa, poiché secondo lui toglieva ispirazione all'esecuzione e le conferiva una certa pedanteria didascalica».
[13bis] La citazione, tratta dalla subdola biografia di Liszt, chiude il capitolo terzo “Mazoures”. [N.d.tr.]
[13ter] E nulla nemmeno di Mozart, le cui composizioni per pianoforte, musicalmente geniali, sotto l'aspetto tecnico sono più clavicembalistiche che pianistiche, e tale resterà la scuola pianistica tedesca: più clavicembalistica che pianistica. [N.d.tr.]

[All rights reserved © Franco Luigi Viero]

INDIETRO