Come Tolemeo calcolava l'ascendente e la Sorte di Fortuna.



Avendo in programma di trattare e della bilancia di Ermete e delle direzioni che Tolemeo spiega ed esemplifica nel III libro del Quadripartitum, onde evitare di stendere un articolo troppo lungo e complesso, procederemo per gradi, cominciando dal calcolo dell'ascendente e della Sorte di Fortuna.

PER QUANTO sorprendente possa sembrare, nessun testo recente sia di storia dell'astronomia, sia di storia dell'astrologia, illustra il procedimento di calcolo dell'ascendente così come era effettuato dagli astrologi greco-egizi dei primi secoli e.v., in modo tale che lo studente di astrologia possa applicarlo alla sua propria carta del cielo. Nel secondo libro del suo trattato di meccanica celeste Tolemeo propone una chiara tavola delle ascensioni. Nella prima pagina di questa tavola nell'edizione dello Heiberg (v. qui a destra) vediamo nelle varie colonne (da sinistra): il nome dei segni, i gradi dell'eclittica per decani, le rispettive ascensioni sulla sfera retta (ascensione retta) e quelle sulla sfera locale (ascensione obliqua) per i primi due climi (latitudini geografiche); i valori intermedi vanno estratti per interpolazione proporzionale. Si tenga presente che, quando gli astrologi di lingua greca adducono esempi, presumono che il lettore abbia di fronte una tavola siffatta; in altre parole, quando parlano di gradi dell'eclittica, il riferimento contempla giocoforza le ascensioni del clima interessato; sta al lettore intendere se i gradi citati siano da riferirsi in senso stretto all'eclittica o piuttosto alle ascensioni che vi corrispondono.
Siccome oggi noi disponiamo di un programma accessibile a tutti coloro i quali possiedono un elaboratore elettronico, cioè Excel, con cui possiamo eseguire tutti i calcoli che servono, lo studente di astrologia dovrebbe prepararsi una tavola simile (ne diamo un esempio qui a sinistra). Dopo aver scelto due caselle (nella figura le due caselle in alto), una per ε (l'ampiezza dell'angolo γ) ed una per il polo φ (la latitudine geografica, nella figura indicata con π), si inseriscano verticalmente i gradi dell'eclittica nella prima colonna a sinistra, uno per ogni riga, ed orizzontalmente in alto i dodici segni: basterà poi introdurre in ogni casella la formula che permette di calcolare l'ascensione obliqua di ogni grado dell'eclittica, la quale richiamerà costantemente ε e φ dalle loro caselle. In tal modo sarà sufficiente introdurre nelle due caselle prescelte i nuovi valori di ε ed φ, per vedersi calcolate tutte le nuove ascensioni. Una tavola siffatta è successivamente ampliabile sì da inserire non solo l'ascensione retta (simbolo α), ma anche l'ampiezza in gradi equinoziali dell'ora ineguale diurna e notturna, e la durata massima del giorno. Ancorché Excel con la “Function Convert_Degree” e la “Function Convert_Decimal” possa passare dai gradi sessagesimali ai gradi decimali e viceversa, i calcoli si basano sui gradi decimali. La soluzione ideale è quella di dedicare ad ogni dato una coppia di caselle: sotto, quella con i gradi decimali (in nero nella figura), per i calcoli; sopra, quella con i gradi sessagesimali (in marrone nella figura). È preferibile non troncare i decimali, lasciandone almeno sette. Del resto, gli astrologi dei primi secoli utilizzavano, oltre ai secondi, anche i terzi, i quarti ed oltre (si veda la nostra traduzione del libro I dell'Almagesto, p. 29 n. 30).

Come carta del cielo esemplificativa utilizzeremo quella di Ennio Morricone, già oggetto del nostro articoletto intitolato A proposito della carta del cielo etc., ove si trovano i dati desunti da SolFire (SF).
1. Orbene, per calcolare il grado che sorge ad una data ora del giorno o della notte in un dato luogo, occorre per prima cosa conoscere l'ampiezza dell'ora ineguale diurna o notturna, che si ricava dalla posizione del Sole sull'eclittica nel modo seguente: dalle tavole calcoliamo per interpolazione proporzionale, se necessario, l'α e l'ascensione obliqua (simbolo αφ) del luogo dell'eclittica occupato dal Sole all'ora data: la loro differenza è chiamata differenza ascensionale (Δa), il cui sesto addizionato o sottratto a 15° darà l'ampiezza dell'ora ineguale.[1] Nel caso di E. Morricone il Sole ha una longitudine (λ) di 228° 15' (cioè 18° 15'), cui corrisponde un'α di 225° 47' 16” ed una αφ di 241° 59' 06”, la cui differenza è di 16° 11' 50”; il sesto di 16° 11' 50”, ossia 2° 41' 58”, addizionato a 15° darà 17° 41' 58”, che è l'ampiezza dell'ora ineguale notturna espressa in gradi equinoziali.
È possibile procedere in un altro modo. Dopo aver rilevato l'αφ del luogo del Sole, rileviamo anche l'αφ del luogo opposto, ossia di 18° 15', che risulterà essere di 29° 35' 25”; la differenza tra le due αφ, dacché il Sole dimora sotto l'orizzonte, darà la durata della notte in gradi equinoziali, il cui dodicesimo sarà l'ampiezza dell'ora ineguale: ossia, 241° 59' 06” – 29° 35' 25” = 212° 23' 41”, che diviso per 12 dà 17° 41' 58”, pari a 1h 10m 48s.
2. Trovata l'ampiezza della singola ora ineguale notturna, essa va moltiplicata per l'ora dell'evento, che però noi moderni non rileviamo più. Occorre pertanto voltare l'ora di nascita locale nella corrispondente ora ineguale della notte. Trasformiamo, quindi, l'ora media di Greenwich in ora locale: 22h 25m –1 (fuso orario) + 49m 56s (long. E), ossia 22h 14m 56s; siccome, però, l'ora locale dev'essere quella vera, non quella media, dobbiamo giocoforza eliminare l'equazione del tempo: 22h 14m 56s – 15m 59s = 21h 58m 57s.
3. Secondo SF il 10 novembre 1928 il Sole tramonta alle 16h 49m 31s e il giorno successivo sorge alle 6h 59m 18s. Ora addizioniamo all'ora del tramonto l'ora ineguale notturna (1h 10m 48s) per 12 volte fino a raggiungere l'ora del sorgere del giorno successivo, che risulterà essere pari a 6h 59m 6s, cioè lievemente inferiore (di 12s) all'ora indicata da SF (tale differenza è causata da medie, troncamenti, approssimazioni ed altro di varia origine). Ne risulta la serie seguente (v. prospetto): la I ora della notte va dalle 16h 49m 31s alle 18h 00m 19s; la II dalle 18h 00m 19s alle 19h 11m 07s; la III dalle 19h 11m 07s alle 20h 21m 55s; la IV dalle 20h 21m 55s alle 21h 32m 43s; la V dalle 21h 32m 43s alle 22h 43m 30s. E qui ci fermiamo, perché abbiamo già superato l'ora locale vera di nascita. Possiamo dunque stabilire che la nascita è avvenuta dopo l'inizio della V ora (21h 32m 43s).
4. La differenza tra l'ora locale vera (21h 58m 57s) e l'inizio della V ora (21h 32m 43s), che è di 26m 14s, va rapportata, prima della moltiplicazione, all'ora ineguale, onde 26m 14s equivarranno a 30m 58s d'ora ineguale. Ebbene, detta differenza va espressa in frazioni, che risulteranno essere 1/3 + 1/10. Dunque, all'ora di nascita espressa in tempo medio di Greenwich, cioè 22h 25m, corrisponde la IV ora della notte + 1/3 + 1/10 con una lieve approssimazione per difetto.
5. Ora possiamo moltiplicare l'ora ineguale notturna (17° 41' 58") per l'ora della notte (4h +1/3 [=23m 36s] + 1/10[=7m 5s]) ed otterremo 79° 55' 55”.
6. Non resta che sommare i risultati dei punti 1. e 5. per avere l'αφ dell'ascendente: 29° 35' 25” + 79° 55' 55” = 109° 31' 21”.
Ricordando che l'ascensione retta del MC vero (v. l'articolo citato) è di 19° 31' 16”, e che dunque l'αφ dell'oroscopo è di 109° 31' 16”, possiamo confrontare i due risultati. [2] .
Teone Alessandrino nel suo commento sintetico alle tavole di Tolemeo riassume come segue la procedura: «Quando l'ora è diurna, moltiplichiamo i tempi orari corrispondenti al grado del Sole nella tavola delle ascensioni sotto il clima e il segno appropriati per le ore ineguali a partire dal sorgere del sole. Al risultato addizioniamo i tempi d'ascensione che corrispondono al medesimo grado; riportiamo la somma dei tempi — sottraendo se necessario 360° — nello stesso clima delle ascensioni. Là dove cade il numero nella colonna delle ascensioni, diremo che il segno contenente il grado e il grado stesso che nella griglia si trova sulla stessa linea, sorgono o sono l'oroscopo».[3] Chiarissimo!
Possiamo a buon diritto concludere che — diversamente da quanti, per occultare la loro ignoranza, la proiettano sugli antichi — gli astrologi dei primi secoli sapevano fare i calcoli ed erano molto precisi.
E passiamo al...

...la Sorte di Fortuna.

LE SCIOCCHEZZE che si propalano da secoli su come si computa la Sorte di Fortuna non ha giustificazioni. Già nell'antichità l'errore s'era insinuato; tuttavia, siccome la difficoltà d'incontrare astrologi competenti o di trovare e consultare o acquistare testi affidabili era nei primi secoli quasi insormontabile, una giustificazione può essere addotta. Per gli studiosi moderni, no!, poiché la sola giustificazione può essere data da una miscela d'incompetenza, ignoranza e supponenza: piuttosto che ammettere di non capire — il che non è un peccato, bensì un pregio —, gli accademici, e non solo, preferiscono ignorare quel che non comprendono, e proiettano la propria inadeguatezza sugli antichi, oppure — il che è peggio — dànno per acquisito e certo quello che non lo è, cioè mentono!
Prima di Tolemeo, il calcolo della sorte di Fortuna è spiegato da Manilio (3,186÷196). Dice il poeta: quando avrai appurato certo discrimine, «con una divisione (del cielo) sicura», se la nascita è diurna, a sole ad lunam numerabis in ordine partes signorum, «conterai le parti dei segni [= i gradi], secondo il loro ordine, dal sole alla luna», ortivo totidem cardine duces, «(ed) altrattanti ne condurrai dal cardine orientale», quem bene partitis memorant[4] horoscopon astris, «che, una volta ben suddiviso il cielo, chiamano oroscopo»; in quodcumque igitur numerus pervenerit astrum, hoc da Fortunae, «in qualunque punto del cielo, dunque, giunga il numero (computato), assegnalo alla Fortuna»; ma quando la nascita è notturna, verte vias, sicut naturae vertitur ordo, «inverti la strada, come quando s'inverte l'ordine naturale». Quattro secoli dopo circa, Paolo Alessandrino riproporrà lo stesso procedimento.[5] Si tratta di un calcolo, per così dire, semplificato, la cui fonte potrebbe essere individuata fra quegli astrologi che fraintesero Nechepso e Petosiride (v. sotto) o non ne accettarono il principio.
Il testo più importante per autorità è quello di Tolemeo. L'acuta intelligenza dell'uomo e l'incomparabile competenza dello studioso, fanno aggio su tutti gli scritti dei suoi colleghi e impongono estrema cautela sui suoi epigoni. Innanzitutto, va rimarcato che Tolemeo non parla della Sorte di Fortuna in un contesto dedicato alle sorti, ed è pertanto scorretto affermare — come fa la Feraboli (l.c., p. 262) — che «di tutti i κλῆροι Tolomeo manterrà solo il Punto di Fortuna per una pura esigenza di corrispondenze geometriche» (ma che significa?!). Tolemeo tratta della Sorte di Fortuna nel contesto dei datori di vita, perché essa può assumere in talune circostanze il ruolo di afeta. Dice Tolemeo: «... la sorte di fortuna è quel luogo che si assomma dal conteggio, in ogni caso (πάντοτε) sia di giorno che di notte, (preso) dal sole alla luna, riportandolo dall'oroscopo nella direzione dei segni seguenti, affinché quel rapporto e (quella) configurazione che il sole ha con l'oroscopo, l'abbia anche la luna rispetto al punto di fortuna e le sia come oroscopo lunare. {Verosimilmente è proprio questo che si vuol significato nello scrittore: (devi) computare per i nati di notte dalla luna al sole e rilanciare all'indietro dall'oroscopo, vale a dire nella direzione dei segni precedenti; e così, in effetti, ne sortirà in tal modo lo stesso luogo della sorte e la stessa configurazione.}».[6] Tolemeo ribadirà il concetto nel libro IV (2,1): «Quanto ai possedimenti, quale che ne sarà l'entità, essi si rilevano dalla cosiddetta sorte di fortuna, quella solo (μόνου μέντοι) la cui distanza in ogni caso dal sole alla luna rilanciamo dall'oroscopo sia per i nati di giorno che di notte, per i motivi che dicemmo trattando degli anni di vita».
Il terzo testo è tratto da Vettio Valente, astrologo praticante contemporaneo di Tolemeo. Nel libro III troviamo un capitoletto (14 K., 11 P.) dedicato alla Sorte di Fortuna, in cui l'autore confessa: «Ho trovato che gli antichi hanno elaborato il procedimento relativo agli anni di vita in modo (troppo) complicato; io, però, dopo accurate ricerche, credo di non dispiacere ai più. Nel 13° libro il Re [= il Venerando] dopo il proemio e l'ordinata esposizione dei segni passa alla sorte di fortuna (che si trae) dal Sole, dalla Luna e dall'oroscopo; sorte che egli eleva a grandissima importanza e menziona per tutto il libro, e ne giudica autorevole il luogo, a proposito del quale(, però,) non lascia ben distinguere (che cosa intenda per) 'all'inverso' e 'a ritroso' (τὸ ἔμπαλιν καὶ ἀνάπαλιν): “Ed il Sole (– scrive –) a cominciar dall'aurora, terminando l'arco vespertino, lascia (παραδίδωσι) la volta dell'eternità del tempo, come si vede; tuttavia al sopraggiungere della notte non sempre la Luna sarà portatrice di luce, ma talvolta, apparsa di sera, tramonta; talaltra permane per un certo tratto, ed altra volta, ancora, la si vedrà attraversare l'intera notte; ne consegue perciò ch'essa affida totalmente al Sole il (suo) giro”. Sull'argomento taluni pensano in un modo, altri in un altro; io sono dell'idea di prendere, in una genitura diurna, dal Sole alla Luna e l'uguale dall'oroscopo, ma in una notturna, fintantoché la Luna è sopra la terra, cioè fino a quando tramonta, di prendere da essa al Sole e l'uguale dall'oroscopo e, dopo il tramonto, dal Sole ad essa.[7] L'aggiungere, infatti, “perciò essa affida totalmente al Sole il (suo) giro”, sembra (significare proprio) questo».[8] Qui, però, Valente non cita il passagio in cui trovansi ἔμπαλιν ed ἀνάπαλιν: se l'è dimenticato? Improbabile. Egli riporta lo stralcio che sosterrebbe la sua interpretazione. Infatti, nel terzo capitoletto del II libro scrive: «Volendo verificare con più accuratezza l'argomento riguardante la felicità, mi rivolgo alla sorte di fortuna che è il luogo più necessario e potente, come pure il Re nel 13° libro cominciò ad esporre in modo occulto dicendo: “E subito dopo occorrerà per i nati di giorno contare con precisione dal Sole alla Luna, ma nel caso inverso (ἔμπαλιν δὲ) (occorrerà) assegnare uguaglianza dall'oroscopo (ἀφ'ὡροσκόπου ἰσότητα τάσσειν) [...]”. Similmente Petosiride spiegò il luogo nei Termini; altri lo rilevano in modo diverso, ed anche noi ne tratteremo a suo luogo, insieme con altri modi commentati relativi al discorso sulla felicità». Invero, il testo del Re parrebbe oscuro, ma non quanto appare di primo acchito: la sua comprensione si basa tutta sul significato di ἔμπαλιν δέ, che i traduttori hanno completamente travisato (traducono “back” e “in the opposite direction”) e ne fanno un sinonimo di ἀνάπαλιν! Un buon esempio del valore semantico di ἔμπαλιν lo offre, in tema di matrimonio, Doroteo (393,23 P.): «(Se) Venere si trova in un segno maschile e Giove in uno femminile, tale configurazione è favorevole ai maschi; all'inverso (ἔμπαλιν δὲ) per le femmine, quando (cioè) Venere è in un segno femminile e Giove in uno maschile». Nel passo citato da Valente, dunque, ἔμπαλιν significa “contando all'inverso, cioè dalla Luna al Sole”; ed è proprio ἔμπαλιν che permette di capire quel che segue, ossia “assegnare uguaglianza dall'oroscopo”: sia che si conti dal Sole alla Luna, sia dalla Luna al Sole, a partire dall'oroscopo (in una direzione o nell'altra) dev'esservi uguaglianza di risultato. Il che concorda con la frase “essa affida totalmente al Sole il (suo) giro”: in altre parole, mentre il Sole abbandona la volta celeste soltanto al tramonto, la Luna non fa e non può fare altrettanto. Il movimento di entrambi gli astri sullo zodiaco è solo antiorario, cioè nella direzione dei segni seguenti; e, siccome la Luna torna costantemente a congiungersi col Sole, le sue fasi dipendono esclusivamente dal luminare diurno. Di qui, il loro rapporto è determinato dal Sole — senza il quale la Luna sarebbe un corpo spento — e sempre nella direzione dei segni seguenti. Francamente, non crediamo che Valente, di certo un astrologo professionista e capace, non avesse inteso il senso delle parole del Re, piuttosto non ne era convinto — infatti chiama in causa anche ἀνάπαλιν che non è nel testo citato (voleva forse forzare il significato di ἔμπαλιν?) —, né ha voluto cogliere il parallelismo astronomico tra Sole-oroscopo e Luna-Sorte di Fortuna.
Il quarto testo è quello del Commentatore Anonimo. Purtroppo manca un'edizione moderna di questo commento e la sola disponibile risale al 1559. Nella prefazione il suo editore[9] racconta che, deluso dalla traduzione latina di tale commento, falsamente attribuita al Valla, e trovato il codice da cui era tratta, chiese ad un amico molto preparato, di controllare la versione e di emendare gli errori. L'amico, però, collazionata la prima pagina, vi trovò una tal messe di errori che i margini non bastavano per contenere tutte le correzioni. Allora l'editore gli chiese di tradurre daccapo egli stesso il commento. Questi, pur impegnato, compì l'opera, non senza rimarcare che non gli era mai capitato un lavoro tanto gravoso: infatti la scrittura del greco era pessima, difficilissima da leggere; inoltre, continua, il testo di Tolemeo e quello del Commentatore si confondevano, e l'opera stessa era corrotta e mutila tanto da non potersi ricavare una frase di senso compiuto. Alla fine, con l'intuito e la competenza l'amico riuscì a ricomporre un testo in qualche modo utile agli studiosi, e glielo offrì, ad una condizione però: quella di non fare il suo nome. In effetti, anche il testo stampato, così com'è stato riordinato, non è di facile lettura: gli errori ortografici sono molti; la sintassi indefinibile; la confusione tra i numeri e i simboli disorientante, e la traduzione latina cerca talvolta di reinterpretare il greco. Forse è per queste ragioni che quasi nessuno legge questo commento, che, nonostante tutto, è senza alcun dubbio il sussidio più importante, redatto da un astrologo molto capace ed estremamente competente. Il testo è strutturato come segue: il commentatore cita, a mo' di titoletto del paragrafo, alcune parole del testo tolemaico, cui fa seguire le sue osservazioni.
Ebbene, a 3,11,5 (μετὰ δὲ ταῦτα...) l'Anonimo (Wolf 111) commenta, fra l'altro: «... Occorre... sapere che il Venerando[10] non assume la sorte di fortuna come fanno gli altri, ma computa sempre dal Sole alla Luna, e (riporta) le medesime parti dall'oroscopo. Dice in effetti (Tolemeo) che (gli altri) non hanno capito gli scritti del Venerando sulla sorte di fortuna,[11] e con Venerando allude a Nechepso e Petosiride: essi infatti sono i primi ad aver dispiegato la previsione per mezzo dell'astrologia. Che cos'hanno dunque detto costoro? (Ebbene,) quando assumi la sorte di Fortuna, di giorno conta dal Sole alla Luna e rilancia parti analoghe dall'oroscopo secondo la direzione dei segni seguenti dello zodiaco; di notte, invece, l'inverso. Ma che significa l'inverso?[12] Per fare (l'inverso, ossia) dalla Luna al Sole, non rilancerai mai nella direzione dei segni seguenti, bensì in quella dei segni precedenti. (In tal modo,) infatti, si trova di nuovo lo stesso (luogo) che era stato computato prima dal Sole alla Luna. Quelli venuti dopo, non hanno conservato in tutto il (procedimento) dell'inverso, ma si (sono limitati) al computo dalla Luna al Sole, (cioè) non hanno fatto l'inverso (operando anche) nella direzione dei segni precedenti. Che la sorte della Luna sia l'oroscopo notturno e lunare, è chiaro da quello che il Venerando scrive:[13] infatti lo stesso rapporto in gradi e configurazione che la Luna avrà con la sorte di Fortuna, lo ha il Sole rispetto all'oroscopo». Vanno qui rimarcati due punti: 1. che si computi dal Sole alla Luna o dalla Luna al Sole, il luogo della Sorte deve risultare il medesimo; 2. la Sorte di Fortuna deve mantenere con l'oroscopo — non l'inverso — lo stesso rapporto e configurazione che il Sole ha con la Luna. Aggiungere oltre al rapporto (λόγος) anche la configurazione (σχηματισμός), chiude la questione, perché l'inverso modificherebbe la configurazione. Ed il rapporto (λόγος) non può che essere orario. Se operassimo sull'eclittica, la sfera locale s'affloscerebbe e si appiattirebbe su un piano orizzontale!
L'Anonimo, poi, prosegue: «È ovvio, proprio da queste cose (che s'è detto), che sarà meglio utilizzare lo stesso metodo, quello per mezzo delle tavole, che (abbiamo utilizzato) anche per l'oroscopo: la sorte di fortuna, infatti, sarà trovata nel modo con cui (abbiamo trovato) le ore [= l'oroscopo]. Riportando (nelle tavole), infatti, per le nascite diurne il grado della Luna — per quelle notturne il grado diametralmente opposto —, e rilevati i tempi ascensionali, (li) moltiplichiamo per le ore; ed il numero che ne risulta lo addizioniamo alle anafore; quindi cercheremo, nello stesso clima, dove cade quel numero e diciamo che lì si colloca l'oroscopo lunare.»
Ed è finalmente giunto il momento di applicare i calcoli alla carta del cielo di Ennio Morricone, che offre un bell'esempio dell'inverso. In essa vediamo che Luna e Sole sono entrambi in Scorpione, sotto l'orizzonte e molto vicini.
1. Posizionata la Luna sull'eclittica a 1°46'12” (questo dato non corrisponde perfettamente a quello di SF, perché noi procediamo all'interpolazione secondo i nostri prospetti), rileviamo dalla tavola delle ascensioni che vi corrisponde una αφ di 219° 19' 32”, e l'ora ineguale diurna è di 13° 31' 43”. Ora, se computassimo dal Sole alla Luna, dovremmo fare quasi l'intero giro dello zodiaco; indi, è molto più semplice computare dalla Luna al Sole e poi riportare il dato dall'oroscopo nella direzione dei segni precedenti, cioè all'inverso (ἔμπαλιν).
2. Abbiamo visto sopra che il Sole si trova all'ora quarta + 1/3 + 1/10 della notte. Moltiplichiamo, dunque, l'ora ineguale diurna della Luna × 4,5160494 ed otterremo 61° 05' 47”.
3. Sommiamo il risultato all'αφ della Luna: 61° 05' 47” + 219° 19' 32” = 280° 25' 19”. Siccome abbiamo scelto di semplificare i calcoli, dobbiamo passare al luogo opposto: 280° 25' 19” – 180° = 100° 25' 19”. Questa, però, non è ancora l'αφ della Sorte di Fortuna, perché essendo discosta dall'oroscopo, il suo polo è comunque inferiore alla latitudine geografica. Tuttavia, il Commentatore Anonimo, che aveva ben presente il problema, raccomanda di cercare il numero trovato «nello stesso clima (ἐν τῷ αὐτῷ κλίματι)», tralasciando poi di indicare come procedere per l'aggiustamento: quasi certamente lo dava per scontato; del resto, dacché gli astrologi e gli astronomi operavano con le anafore, le ore ineguali e la durata del giorno, l'aggiustamento poteva ritenersi un dettaglio superfluo.
4. Avendo già trovato l'αφ dell'oroscopo (109° 31' 16”), facciamo la differenza: 109° 31' 16” - 100° 25' 19” = 9° 5' 57”; troviamo anche la differenza tra l'ora equinoziale e l'ora temporale diurna della Luna: 15° – 13° 31' 43” = 1° 28' 17”. Con una semplice proporzione ricaviamo l'ampiezza della porzione di 15° corrispondente a 9° 5' 57”, che sarà di 10° 5' 20”, la cui differenza (10° 5' 20” – 9° 5' 57” = 0° 59' 23”) ci darà l'ampiezza dell'aggiustamento. A conferma, possiamo procedere come segue: siccome 9° 5' 57” sono pari a 40m 21s dell'ora ineguale diurna della Luna, rilevando altresì dal nostro speculum che la Δa della Luna è di 8° 49' 39”, troveremo l'ampiezza dell'aggiustamento dalla seguente proporzione: 8° 49' 39” : 6h = x : 40m 21s, ove x sarà pari a 0° 59' 22”.
5. Dacché abbiamo scelto il procedimento inverso, sommeremo l'aggiustamento all'αφ precedentremente ricavata: 100° 25' 19” + 0° 59' 22” = 101° 24' 41”, che secondo il procedimento tolemaico è l'αφ della Sorte di Fortuna corrispondente a 28° 47'06”.
Noi, oggi, con tutti i sussidi di cui disponiamo, possiamo semplificare il calcolo semplicemente operando con le αφ/κφ (discensioni oblique) dei luminari. Nella carta di Ennio Morricone, detrarremo la differenza tra le discensioni oblique di Sole e Luna (209° 35' 26” – 201° 40' 13” = 7° 55' 13”) dall'αφ dell'oroscopo: 109° 31' 16” – 7° 55' 13” = 101° 36' 03” corrispondente a 28° 56'04". La discrepanza tra il risultato ottenuto col metodo antico e quello moderno ha varie cause.[14]
Resta solo da verificare se le loro distanze concordino: κφ Sole – αφ oroscopo (209° 35' 26” – 109° 31' 16”) = 100° 04' 10”; κφ Luna – αφ Fortuna (201° 40' 13” – 101° 36' 03”) = 100° 04' 10”. E sono questi i gradi che devono concordare, non quelli sull'eclittica!
Questo descritto è l'unico modo per trovare il vero luogo della Sorte di Fortuna, ed, a nostra conoscenza, il solo astrologo ad applicarlo correttamente fu John Worsdale, che ne spiega il procedimento in Celestial Philosophy, London 1828, pp. 17÷18.

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NOTE

[1] Sull'esempio di alcuni studiosi di storia dell'astronomia l'ora ineguale viene comunemente chiamata ora stagionale (seasonal hour), ma non è corretto, poiché non esistono ore valide per un'intera stagione, dacché ogni ora ineguale è uguale solo a sé stessa a causa dell'essere ciascuna diversa da ogni altra precedente o seguente. È solo per comodità di calcolo che si suddivide(va) lo spazio temporale dall'alba al tramonto, e viceversa, in 12 ore uguali. Infatti, l'aggettivo greco καιρική, quale attributo di ὥρα, non significa 'stagionale', bensì 'di quel momento' 'temporanea', cioè specifica di quel momento e solo di quel momento. Tuttavia, dacché uniformiamo sia le 12 ore diurne che le notturne, le chiameremo 'ineguali'.

[2] Qui la differenza è risibile, ma v. nota 14.

[3] Cf. la splendida edizione Le “Petit Commentaire” de Théon d'Alexandrie aux Tables faciles de Ptolémée, ed. Anne Tihon, Città del Vaticano (Bibl. Apost. Vaticana) 1978, p. 219.

[4] Per il significato che ha qui memorare, cf. Pacuv. 89: id quod nostri caelum memorant, Grai perhibent aethera, «quel che i nostri chiamano caelum, i greci (chiamano) aethera».

[5] Cf. Pauli Alexandrini Elementa apotelesmatica, ed. Æ. Boer, Lipsiae 1958, p. 47 s.; Manilio, Astronomica, comm. a cura di S. Feraboli e R. Scarcia, II, Milano 2001, p. 263: la Feraboli non sembra avere idee chiare al riguardo.

[6] Il redattore di questa glossa, che sorprendentemente lo Hübner accoglie nel testo, commette lo stesso errore di Manilio separando le nascite diurne da quelle notturne, ancorché poi sostenga l'identità del luogo computato nella direzione dei segni seguenti con quello computato nella direzione dei segni precedenti: o la glossa è irrimediabilmente corrotta, oppure l'autore non si avvede della palese contraddizione. Oltretutto, ἴσως, verosimilmente, contrasta secondo logica con il πάντοτε del paragrafo precedente; la costruzione della frase iniziale è piuttosto contorta; all'inizio del capitolo Tolemeo allude a Nechepso con ὁ ἀρχαῖος non già con συγγραφεύς, scrittore; ancora, Tolemeo non usa mai l'infinito di διεκβάλλω (né per vero di ἐκβάλλω). Infine, nella Parafrasi di Proclo questo paragrafo è ignorato. Noi abbiamo racchiuso il testo fra parentesi a graffa per segnalare che esso va espunto, trattandosi senza alcun dubbio di una glossa estranea a Tolemeo.

[7] La Feraboli, l.c., fa dire a Valente esattamente il contrario!

[8] Qualche traduttore pare affidarsi più alla fantasia che non al testo greco: traduce infatti ἔμπαλιν con “forward” e παραδίδωσι con “opens”!

[9] Stando al CCAG (VIII,2 p. 5) l'editore sarebbe Hieronymus Wolf — ma nell'edizione a stampa consultata non v'è traccia del nome, ed anche lo Hübner non lo cita (cf. p. LII della sua ed. tolemaica, ove peraltro scrive ἐξήγησις anziché ἐξηγητής) — ed il testo da lui pubblicato sarebbe quello contenuto nel cod. Paris. Gr. 2411. Sennonché, nella prefazione dedicatoria premessa al trattato Hermetis philosophi De revolutionibus nativitatum, incerto interprete (che occupa le pp. 205÷279) l’editore, rivolgendosi Onoratissimo Viro, Paulo Heintzelio Patricio Augustano, si firma col nome di Hieronymus Vuolfius (nelle prime righe della p. 208, poi, annota spiritosamente per inciso che sunt qui me λύκον graece, quam Vuolfium barbare nominare malint, «certuni preferiscono chiamarmi Lykon [= Lupo] alla greca piuttosto che nella lingua barbara Wolf [= Lupo]»).

[10] Traduciamo ὁ παλαιός con 'il Venerando', ancorché significhi 'il Vecchio', poiché Tolemeo, all'inizio del capitolo vi si riferisce con ὁ ἀρχαῖος, letteralmente 'l'Antico', che traduciamo con Venerando, poiché l'uso di ἀρχαῖος riferito alle persone può alludere ad una personalità autorevole, la prima, non più eguagliata. La traduzione latina lo confonde con Tolemeo; il Riess, che ha pubblicato i frammenti di Nechepso e Petosiride (cf. “Philologus” VI Supplementband 1891-1893, pp. 327÷394, a dirittura sostituisce, nel citare lo stralcio, ὁ παλαιός con ὁ Πτολεμαῖος, senza avvedersi che poco dopo l'Anonimo precisa: λέγει δὲ παλαιὸν τὸν Νεκεψὼ καὶ Πετόσιρον (sic!)!

[11] Qui l'Anonimo estende quel che dice Tolemeo, il quale si limita ad osservare che «secondo il Venerando è risibile attribuire i vari fatti che via via si succederanno, a colui che a causa degli anni di vita destinatigli non giungerà mai all'età in cui quei fatti dovrebbero accadere». Detta estensione, però, non è priva di senso.

[12] Facciamo notare che il Commentatore Anonimo non usa ἔμπαλιν, ma ἀνάπαλιν. Non è che sia sbagliato, ma è meno preciso, e si presta a confusione: ἔμπαλιν sottolinea lo scambio, ἀνάπαλιν genericamente il contrario, soprattutto nella direzione contraria.

[13] Ancorché si evinca dall'iniziale citazione del Venerando che Tolemeo nel trattare il capitolo sugli anni di vita ne segua la trattazione, nel testo tolemaico manca il riferimento diretto. Qui il Commentatore Anonimo, citando il Venerando, sembra voler confermare Tolemeo; in ogni caso, al contrario di Valente, egli non ha dubbi sull'interpretazione del testo del “Re”-Venerando.

[14] I due procedimenti di calcolo, antico e moderno, difficilmente possono concordare a causa dell'imprecisione dei dati relativi non solo all'equazione del tempo, all'ora del sorgere e del tramonto, ai troncamenti e/o alle approssimazioni dei decimali, ma anche alle posizioni planetarie, soprattutto della Luna. Ad esempio, il modulo Meeus-Ferrari, disponibile online, per il calcolo del sorgere e del tramonto dà ore lievemente diverse. Noi però, utilizzando come base per i nostri confronti i valori dati da SF, dobbiamo attenerci a quelli.


[Dorno, 15 maggio 2022]

© Franco Luigi Viero

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