RICORDO DI GIUSEPPE BEZZA



Se qualcuno vuole vedere l'espressione “tirasgiàff” (in dialetto milanese si diceva così) del viso di Giuseppe Bezza,
consulti la seguente pagina:
http://www.cieloeterra.it/articoli.in.ricordo.di.Giuseppe.Bezza/In%20Ricordo%20di%20Giuseppe%20Bezza.html,
dove troverà l'encomio di chi l'ha conosciuto superficialmente e/o non sa decifrare la sua carta del cielo.





Il solo scopo di questo "ricordo" è quello di rendere note le circostanze che portarono all'appaiamento dei nostri nomi.[1]


Come conobbi Giuseppe Bezza.

I miei interessi per l'astrologia datavano già da più di un decennio, allorché nei primi anni 1980 scorsi sullo scaffale di una libreria – o di una bancarella, non ricordo – un volumetto che recava un titolo piuttosto pretenzioso: L'astrologia, storia e metodi, Milano (Teti editore) 1980, il cui autore era tal Giuseppe Bezza, il quale, stando alle notizie stampate sul retro di copertina, aveva «soggiornato a lungo ad Amsterdam, Londra e Parigi»; era «stato collaboratore di “Les Temps Moderns” di J. P. Sartre e André Gorz, e di “Le Point” di Bruxelles».
“Caspita!”, mi dissi.
Sfogliando rapidamente il volumetto, osservai subito tre cose ignorate dai manuali d'astrologia allora correnti: note accurate, una bibliografia, ancorché essenziale, e un indice dei nomi. Decisi di acquistarlo.
In quegli anni andavo affinando una tecnica diagnostica applicata ai nomi – per 'nome' s'intende il composto sonoro costituito dal o dai nomi propri ufficialmente dichiarati insieme con il cognome –; tecnica che mi aveva permesso di stabilire che la doppia zz, con suono enfatico e sordo, non è quasi mai un componente positivo per le qualità dell'animo e dell'intelligenza. Ciononostante, misi da parte le mie riserve sul nome, e gli telefonai.
Al telefono la voce pareva poco spontanea, il tono forzato se non a dirittura studiato; eppure trapelava un certo compiacimento per quella inattesa telefonata. Non gli nascosi il desiderio di vederlo all'opera, cioè di avere un consulto astrologico: lui tergiversò e mi propose un incontro. “Dove abita?”, gli domandai. “Vediamoci in piazza Duomo,” rispose, “sotto i portici: al 'Bar Zucca' servono un ottimo rabarbaro.” Rimasi un po' sorpreso, ma accettai.
Quando lo vidi per la prima volta, notai la giovane età, un po' in contrasto con i lunghi soggiorni «ad Amsterdam, Londra e Parigi». Ebbi subito l'impressione che fosse uno spiantato; sicuramente lo era più di me: era male in arnese e i molti capelli reclamavano l'intervento di un parrucchiere, a cominciare dal sapone. Non ricordo più di che cosa parlammo; ricordo solo che di tanto in tanto i suoi occhi s'arrossavano per l'emozione. Comunque sia, il richiesto consulto si disciolse tra le parole e ci ripromettemmo di restare in contatto. Pagai i due rabarbaro e ci accomiatammo.
Cominciò di lì la nostra frequentazione.

Come nacque in Giuseppe Bezza l'interesse per l'astrologia.

Egli, oltre a un figlio (ma era separato, così almeno mi disse), aveva alcuni fratelli. Uno di loro, di nome Giancarlo, era caduto vittima della tossicodipendenza e trapassò per overdose il 6 maggio 1981. Ebbene, fu proprio questo Giancarlo, il quale s'interessava d'astrologia, a trasmettere al fratello Giuseppe il diletto per questa materia. Non solo: quando il Bezza mi raccontò le drammatiche circostanze della dipartita del fratello Giancarlo, aggiunse anche un dettaglio non irrilevante: la pubblicazione del volume sopra citato aveva gettato nello sconforto lo sventurato Giancarlo, il quale aveva dovuto constatare come il fratello Giuseppe, pur essendosi avvicinato all'astrologia in un tempo successivo e non autonomamente attrattovi, fosse riuscito con quella pubblicazione a superarlo. In effetti, il volumetto citato (© 1980) fu «finito di stampare nel mese di gennaio 1981», mentre il transitus animae di Giancarlo ebbe luogo, come detto, nei primi giorni di maggio dello stesso anno. Tale 'virtù', per così dire, prosciugante, di Giuseppe Bezza, più o meno cosciente, sta alla base delle acquisizioni materiali e immateriali, meritate o immeritate, ch'egli seppe abbarcare nel corso della sua vita. In Giuseppe Bezza l'intelligenza non era acuta, lo era però l'intuito, come testimonia la congiunzione Luna-Saturno nel suo cielo natale.[2]
A quel tempo Giuseppe Bezza abitava in una vecchia casa popolare, non lontano dalla darsena. Quando gli chiesi di che cosa vivesse, parlò vagamente di collaborazioni. Di tanto in tanto, siccome non pagava le bollette, gli toglievano la corrente elettrica. Eppure, i libri erano molti, parecchi dei quali costosi. “Questo volume è piuttosto caro, come hai fatto a pagarlo?”, gli chiesi una volta. “L'ho prelevato!”, rispose. Sulle prime rimasi impietrito. Mi illustrò anche la tecnica che aveva affinato affinché quei 'prelievi' andassero a buon fine. Gli vidi in casa anche un volume del Catalogus codicum astrologorum Graecorum, che proveniva dalla biblioteca dell'Università Cattolica, la sola invero a possedere il CCAG. Mi disse: “Prèndilo, te ne fai una fotocopia e poi lo riporti.” “Eh no, Giuseppe”, replicai prontamente, “tu l'hai preso e tu lo riporti.” Successivamente, dovendomi recare in quella biblioteca per controlli relativi all'edizione italiana delle Notes dello Spicq, che stavo preparando, dovetti constatare che il volume era ancora mancante. Si trattava sicuramente di una parte dell'ottavo tomo (codices Parisini), ma non ricordo più quale (la seconda o la quarta, forse).
Come ho detto, stavo preparando l'edizione italiana delle Notes de lexicographie néotestamentaire, un lavoro che facevo nel tempo libero, perché dal lunedì al sabato andavo a lavorare presso un'azienda metalmeccanica che produceva materiale elettrico, ove mi occupavo della contabilità industriale (!?).
Ci vedevamo di frequente ed, ovviamente, l'argomento di studio era sempre e solo l'astrologia. Spesso, invitavo Giuseppe Bezza a cena da me ed ogni volta portava una bottiglia di vino pregiato – il vino piaceva ad entrambi –, sulla cui provenienza mi astenevo dall'indagare.
La Fondazione “Lorenzo Valla”, che aveva già pubblicato alcuni volumi, tra cui Dell'Arte Poetica curata da Carlo Gallavotti, fece uscire nel 1985 il Quadripartito tolemaico coll'infelice titolo Le previsioni astrologiche. Bastò sfogliare il volume per rendersi conto della sua qualità.
Chiesi, quindi, all'editore per cui stavo lavorando, se fosse stato interessato alla pubblicazione di una recensione. La recensione era solo un pretesto. Lo scopo era quello di presentare Giuseppe Bezza all'editore, per poi farlo collaborare all'edizione italiana delle Notes dello Spicq e fargli così guadagnare qualcosa.
Preparammo la recensione. Gli feci riscrivere la sua parte tre volte, perché la prosa italiana era qua e là pittoresca, gli errori parecchi e la chiarezza ne soffriva. La terza redazione andava meglio, ma occorreva un'altra revisione. A quel punto il Bezza s'irritò. “Va bene,” dissi. “All'editore chiederò di apporre il mio nome alla mia parte, il tuo alla tua”. Non avevo nessuna intenzione di farmi carico dei suoi errori, quelli che poi diedero spazio alle inconsistenti Precisazioni della Feraboli. Alla fine la recensione vide la luce.
Ecco come e perché il mio nome e quello di Giuseppe Bezza sono appaiati in quella recensione.
Dopodiché proposi all'editore di far collaborare Giuseppe Bezza alla traduzione delle Notes. L'editore accettò, ma precisò: “Io pago te; col Bezza t'arrangi tu!”. “D'accordo,” replicai. Ovviamente, Guseppe Bezza era entusiasta. Cominciai a dargli alcuni lemmi della lettera "E". Con mia grande sorpresa, fu molto sollecito e finì in breve tempo il lavoro, lo pagai e gli affidai altri lemmi. Ma, allorché presi in mano i suoi fogli per rivederli, rimasi basito! Un disastro! I testi in greco erano quasi illeggibili; la forma italiana contorta; la traduzione spesso imprecisa ed approssimativa. Insomma, dovetti rivedere tutto parola per parola.
Quando consegnai all'editore la parte già pronta, gli mostrai la massa delle correzioni, che la collaborazione del Bezza aveva reso necessarie. “Stando così le cose,” dissi, “sarà il caso di specificare nella pubblicazione quali sono i lemmi tradotti da me e quali quelli tradotti dal Bezza.” “No,” replicò perentorio l'editore, “ perché la responsabilità è comunque tua.” Rimasi di sasso, perché nel frattempo avevo affidato al Bezza altri lemmi, che non solo avrei dovuto pagargli, ma che avrei anche dovuto rifare.
Dopo aver finito il lavoro che gli avevo precedentemente affidato, il Bezza venne a casa mia per essere pagato ed averne dell'altro. “No, Giuseppe,” gli dissi a chiare lettere, “la collaborazione finisce qui. L'editore non vuole specificare quali lemmi siano stati tradotti da me e quali da te. Il che mi costringe a rifare praticamente tutto, perdendo tempo e lavorando gratis!”
Ecco spiegato perché il nome di Giuseppe Bezza compare come co-traduttore del primo volume delle Notes e non del secondo. In ogni caso, vi compare per pura beneficenza, perché del suo 'contributo' non v'è più alcuna traccia.[3]

Il Bezza è un traduttore quasi sempre approssimativo e non di rado scorretto: può ammatassare gl'incompetenti, non gli specialisti. Il guaio è che in astrologia — e non solo in astrologia — gli specialisti sono mosche bianche.
Quando Giuseppe Bezza dovette giocoforza realizzare che la vacca da latte, il sottoscritto, era stata svuotata, non reagì bene ed il nostro rapporto cominciò a mostrare le prime crepe.
Egli era piuttosto abile nell'attirare a sé le persone che potevano essergli utili. Fu così che conobbe Marco Fumagalli.[4] Mi diceva che costui, pur privo di cultura umanistica, era un esperto di computer, per di più molto interessato all'astrologia, e poteva essergli utile. “Te lo presenterò,” mi disse, ma non lo fece mai. Una volta ci trovammo tutti e tre in un luogo (non ricordo dove). Il Bezza, indicando col dito una persona di anonimo aspetto e di bassa statura, mi disse: “È lui Marco Fumagalli”, ma non me lo presentò. Da parte sua, Marco Fumagalli, che notò la presenza di Giuseppe Bezza (si scambiarono un rapido sguardo d'intesa), evitò di avvicinarsi e di guardarmi. Fu chiaro che il Bezza stava tramando qualcosa.

In seguito a fatti esclusivamente personali, di cui non parlerò, Giuseppe Bezza fu in grado di traslocare dal vecchio appartamentino popolare in un altro più grande sito in via Paolo Sarpi e mi chiese se potevo aiutarlo; gli prestai anche una levigatrice orbitale che non mi restituì più. Andai ad aiutarlo. Vi erano molte persone, non tutte ugualmente volenterose, ma tutte, pur non conoscendomi, sembravano conoscermi e manifestavano nei miei confronti un atteggiamento derisorio.
Fu la meschina vendetta del codardo. Giuseppe Bezza mi aveva in qualche modo diffamato, mettendomi in ridicolo agli occhi dei suoi conoscenti.
Il nostro rapporto si chiuse quel giorno, anche se poi gli scrissi per documentare gli incredibili errori nelle traduzioni che gli avevo affidato. Nessuna risposta, ovviamente. Lo rividi una sola volta in un negozio di dischi, ma finse di non vedermi. Tralascio ulteriori miserandi dettagli.

Dei meriti del Bezza ho parlato altrove. Egli deve la sua fortuna a Marco Fumagalli, senza il quale le sue pubblicazioni non avrebbero l'aspetto che hanno e il sito www.cieloeterra.it non sarebbe mai nato. Senza Marco Fumagalli tutta la sua produzione apparirebbe come una maionese impazzita, ove gli ingredienti sono presenti, non il risultato. Purtroppo il sito è destinato all'estinzione grazie alla competenza dell'attuale consiglio.
Come astrologo Giuseppe Bezza non azzeccò mai una previsione e molti dei miei suggerimenti sono divenuti intuizioni sue. Tuttavia non sarò io a negare il contributo da lui dato ad un certo modo di affrontare gli studi astrologici.

[Dorno, 10 settembre 2016]


NOTE.

[1] In ordine di tempo Giuseppe Bezza compare, insieme con lo scrivente, una prima volta come co-autore di una recensione pubblicata dalla Paideia Editrice sulla rivista che porta lo stesso nome, cf. Fr. Al. Illiceramius (versione latina di Fr. L. Viero), G. Bezza, "Il problema di un recupero dell'astrologia classica nella lettura di una nuova edizione di Tolomeo", in “Paideia” 41 (1986) pp. 215-236; una seconda volta come co-traduttore del primo volume delle Note di lessicografia neotestamentaria di Ceslas Spicq, curate da me e pubblicate dalla stessa casa editrice (Brescia 1988).

[2] Chi vuole saggiare il grado d'intelligenza del Bezza, basta che legga l'inizio dell'introduzione di Arcana Mundi, I, Milano (Rizzoli) 1995, p. 7, ove la giustificazione dell'attribuzione dell'aggettivo 'classico' all'astrologia è talmente rozza, semasiologicamente e logicamente insostenibile, da risultare esilarante.

[3] L'edizione italiana, uscita col titolo Note di lessicografia neotestamentaria, ha avuto buone recensioni solo per merito mio. A parte l'Indice dei passi biblici, fatto dal computer, tutto il resto – dalla bibliografia (assente nell'edizione francese) agli indici delle voci italiane e greche – è opera mia. L'editore ha avuto il merito di lasciarmi mano libera. La sola cosa non mia è la traduzione del passo di Plutarco che precede la Premessa: alla mia traduzione l'editore impose la sua, che non approvo. L'unica nota stonata è quella di un tal Marco Nobile, professore cattedratico da qualche parte, il quale conclude la sua recensione online (http://www.antonianumroma.org/prof_bibliografiaViewnota.php?id=2446) con «una correzione: si cita normalmente U. Wilcken (ad es. a p. 61), mentre il cognome corretto è Wilckens.» Si dà il caso, però, che Ulrich Wilcken (1862-1944), senza “s”, fu un grande papirologo, mentre Ulrich Wilckens (1928-), con la “s”, è un teologo. In altre parole, quest'incauta “correzione” dimostra che il prof. Nobile non ha la più pallida idea di che cosa sia la papirologia. Bastava dare un'occhiata alla bibliografia!

[4] Marco Fumagalli asserisce di aver iniziato a frequentare l'amico Giuseppe nel 1981. A me non risulta. Tuttavia, data la forte inclinazione del Bezza ad occultare la verità (anche questo ben rilevabile dalla sua carta del cielo), non è impossibile che il Fumagalli dica il vero.


© Franco Luigi Viero

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